Italiani gran risparmiatori, "ma non lasciate i soldi sotto il materasso"

Gli italiani, dal secondo dopoguerra, hanno dimostrato una costante, diventata prerogativa virtuosa: sono un popolo di risparmiatori. Ma con le incertezze future, la sfiducia nei rapporti con le banche, come si investono i risparmi? E chi può ancora permetterselo? Se la diffidenza verso gli investimenti cresce, attenzione però al rischio opposto: i soldi "sotto il materasso" non fanno bene a nessuno.

Italiani gran risparmiatori, "ma non lasciate i soldi sotto il materasso"

Dal secondo dopoguerra fino alla metà degli anni Novanta, il tasso di risparmio delle famiglie italiane è stato particolarmente elevato, oscillando tra il 20 e il 30 per cento del reddito disponibile.
Negli ultimi anni, segnati dalla crisi, le famiglie hanno provato a preservare gli standard precedenti di consumo e di qualità della vita, non adeguandosi alla relativa flessione del reddito medio. Ma per far questo hanno utilizzato parte dei soldi messi da parte, portando così alla diminuzione del tasso di risparmio.
La percentuale, seppur sensibilmente calata, dimostra comunque una costante nella quotidianità degli italiani: nonostante le difficoltà, anzi forse proprio in virtù di queste ultime, si cerca sempre di “far economia”. Una tendenza confermata da Alberto Urbani, docente di diritto dell’economia all’università Ca’ Foscari di Venezia.

Secondo i dati Istat, il lieve aumento di reddito medio segnato a ottobre dello scorso anno non si è tradotto in maggior consumo, ma in maggior accumulo di risparmi. Professor Urbani, questa costanza nel corso dei decenni può essere identificata come una prerogativa italiana?
«Sì, questa è una caratterista, anche virtuosa, propria dell’Italia, tanto che storicamente ha contribuito ad alleggerire le anomalie sul piano del debito pubblico. Siamo fortemente indebitati, ma esiste una ricchezza nel paese, una ricchezza privata perché gli italiani sono sempre stati bravi risparmiatori. Il problema di oggi è legato, invece, all’utilizzo di questi risparmi: prevale incertezza, non solo in Italia, ma anche sul vasto scenario mondiale, e questo porta timore ed esitazioni sul piano degli investimenti. A questo si aggiunge un “peccato” dei sistemi nazionali di tutta Europa: per decenni si sono impegnati, a buon titolo, nel convincere i clienti delle banche che, una volta depositati i soldi, questi sarebbero stati totalmente al sicuro. Al di là dei tecnicismi, il primo valore di una banca è la fiducia e questa, in non pochi casi, è venuta meno, portando le persone a domandarsi: “Ma è davvero necessario?”. Il vero danno è questo».

Dopo gli episodi che hanno coinvolto la Popolare di Vicenza e Veneto Banca, il risparmiatore è ulteriormente impaurito e confuso, non ha più certezze nell’istituzione bancaria. Questa sfiducia quanto a lungo potrà influire sull’economia?
«Sicuramente ha influito molto e il percorso inverso non durerà poco.

Sento spesso il cliente dire “Mi sono fidato della mia banca, del funzionario o del direttore di filiale che mi ha consigliato questa operazione”: si è incrinato questo rapporto fiduciario, ma quanto accaduto determina un’altra osservazione. È necessaria, infatti, una maggior consapevolezza nei propri investimenti: in Italia stiamo assistendo a un drammatico deficit di cultura finanziaria da parte del cliente medio, non a caso ci sono progetti di legge per promuovere l’educazione e l’alfabetizzazione finanziaria. C’è un livello insufficiente di conoscenza della materia rispetto ai restanti paesi dell’Europa. Non si possono guidare i propri risparmi senza conoscere alcuni principi fondamentali.

Che ci piaccia o no, dobbiamo informarci: ci siamo fidati troppo ciecamente del “mercato”, e questo, in una realtà dinamica e complessa, non va più bene».

Alla luce di quanto detto, come si sta modificando la propensione al risparmio? Qualche decennio fa, l’investimento sul mattone era un’operazione sicura, quasi prioritario rispetto ai titoli di stato. Ora, chi riesce ad avere delle somme messe da parte, come le investe?
«In questo momento le persone, forse anche correttamente, usano tattiche attendiste con investimenti a breve termine e quindi molto frazionati. Ma in fondo questa è la regola fondamentale del risparmio: per contenere il rischio, la prima strategia da applicare è quella di differenziare gli investimenti e, per certi versi, anche avere a che fare con intermediari diversi. Certo, si può obiettare che questo comporta, come conseguenza, una lievitazione dei costi, ma nei limiti possibili è la strada più sicura. Mi riesce difficile dire quali siano le tendenze attuali dei risparmiatori, se orientati sul bene immobile o su un fondo comune d’investimento: è un mondo particolarmente dinamico e scosso dagli scenari politici, per cui i mercati sono fortemente influenzati e gli investimenti devono fronteggiare queste nuove componenti variabili di rischio che non c’erano vent'anni fa. Viviamo in un contesto globale che cambia rapidamente: prima con modelli econometrici era possibile prevedere, almeno in prospettive a medio termine, l’andamento dei tassi, adesso non è più così. Tendono a prevalere variabili politiche e sociali, in sostanza extraeconomiche, che però influiscono sensibilmente sull’economia».

A parità di età, gli individui appartenenti a una generazione più recente tendono a risparmiare di meno rispetto ai loro coetanei delle generazioni precedenti. È un cambiamento culturale stimolato da dinamiche che invogliano a spendere in beni di consumo immediato o predomina il peso della crisi?
«La premessa è che per poter risparmiare occorre poter guadagnare. E questa è una valutazione che non riguarda solo i giovani, ma anche le famiglie e gli adulti. Sono cambiati gli orientamenti al risparmio perché i giovani si inseriscono con più difficoltà nel mercato del lavoro e la retribuzione è inferiore a quella percepita, nell’analoga posizione, un ventennio fa. Se hai poco, utilizzi il risparmio in modo diverso: invece di ragionare su forme di investimento a lungo termine, si è più attenti alla spesa. Ma questo in ottica futura non è un bene: basti pensare alle pensioni che saranno presumibilmente più basse rispetto oggi. Bisogna educare i giovani alla cultura, ad esempio, del fondo pensione o degli investimenti sotto forma di piani di accumulo. Ho la sensazione che anche chi ha un lavoro stabile non stia pensando a forme di previdenza complementare e questo è un grave rischio, perché l’occupazione non è più una certezza. Ma purtroppo anche i più fortunati non ci pensano».

L’andamento del reddito disponibile, quello della ricchezza pensionistica e l’invecchiamento demografico avranno effetti importanti sulla formazione del risparmio delle famiglie italiane nei prossimi decenni. Come comportarsi, allora?

«La logica del frazionamento vale anche per queste opzioni: io non investirei mai nulla in chiave esclusivamente previdenziale rinunciando, invece, a un piano d’investimento o viceversa. Ognuno ha le proprie priorità ed esigenze da soddisfare secondo valutazioni soggettive, ma chi, per esempio, ha in programma l’acquisto dell’abitazione, se possibile non dovrebbe trascurare un investimento di tipo pensionistico. È la diversificazione la miglior strategia per una sicurezza futura: non si può pensare di utilizzare quello che si riesce ad accumulare verso un unico obiettivo, ma occorre cercare di aprirsi più opportunità ponendo al centro la stabilità non solo di oggi, ma soprattutto di domani».

Abbiamo parlato del risparmio delle famiglie come ricchezza privata che ha supportato l’Italia in momenti di difficoltà. Per quanto tempo sarà una reale risorsa e qual è, invece, un possibile rischio?
«Il risparmio è e sarà una costante nel nostro paese: dinanzi al calo degli investimenti per i rendimenti bassi, gli italiani non stanno decidendo di destinare il loro denaro all’acquisto di beni di consumo immediato, ad esempio elettrodomestici o viaggi. Se l’Italia ha archiviato il 2016 in deflazione è perché la popolazione spende poco. Una forma di risparmio comunque c’è, il problema è incanalarla in sistemi produttivi. Il risparmio c’è sempre stato, non si può nemmeno dire che i soldi messi da parte siano stati scialacquati; il vero rischio è che le persone tengano quanto accumulato sotto al materasso. Sarebbe un danno grave per l’economia del paese. “I soldi vanno fatti girare”, un’affermazione secolare ma quanto mai esatta: o affidandoli alla banca o facendo degli investimenti personali o dandoli al proprio figlio perché è prossimo al matrimonio e a comprare una casa. Nello stato d’incertezza generale del paese e in fondo di buona parte del mondo intero, uno dei limiti è questo: più che non esserci, i soldi non girano».

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Parole chiave: risparmio (15), economia (75), crisi (96), investimenti (5)