Verso la cresima: «Se cercherete il bene lo Spirito vi starà al fianco»

Il nuovo libro di don Giorgio Ronzoni, Il dono perfetto, è rivolto ai ragazzi che si preparano alla cresima. «Ho voluto parlare – spiega don Ronzoni – come un parroco parla a dei ragazzi che purtroppo in larga maggioranza presto non saranno più interessati a frequentare la parrocchia. Ma senza fare prediche. Ho voluto dire loro che il dono dello Spirito è Cristo e Lui resterà sempre con loro, che lo sappiano o no».

Verso la cresima: «Se cercherete il bene lo Spirito vi starà al fianco»

«Non l’ho pensato come un quaderno di preparazione alla cresima, ma piuttosto un piccolo dono per i ragazzi della mia parrocchia, e per tutti gli altri che si accostano a questo sacramento». Don Giorgio Ronzoni, parroco di Santa Sofia e docente di catechetica e teologia pastorale nella Facoltà teologica del Triveneto, presenta così, con semplicità, la sua pubblicazione Il dono perfetto. Alla scoperta dei doni dello Spirito Santo (Messaggero, pp 48, euro 4,50).

In diocesi di Padova sta prendendo piede l’itinerario dell’iniziazione cristiana secondo cui i sacramenti della comunione e della cresima si ricevono tra la quinta elementare e la prima media, al termine di un percorso di tipo catecumenale di quattro anni, svolto con i genitori. Spesso la cresima è anche, per molti ragazzi, l’ultimo momento di contatto continuativo con la comunità ecclesiale.

«Ho voluto parlare a loro – spiega don Ronzoni – come un parroco parla a dei ragazzi che purtroppo, preso questo sacramento, in larga maggioranza non saranno più interessati a frequentare la parrocchia, prenderanno altre direzioni. Dentro di me c’è anche questo dispiacere, ma non l’ho voluto manifestare con delle prediche. Ho voluto dire loro che, se cercheranno il bene nella loro vita, lo Spirito santo sarà al loro fianco».

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Perché ha scelto questo tema?
«Ho pensato ai sette doni dello Spirito Santo perché nel catechismo della chiesa cattolica questo argomento è sbrigato in poche righe, non è quindi considerato d’importanza fondamentale, anche se ha goduto di una certa fortuna nell’insegnamento catechistico. I sette doni in realtà provengono da un elenco di sei caratteristiche che nel libro di Isaia vengono attribuite al Messia. In lui, dice il profeta, si riposerà lo spirito del Signore, Spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Nella vulgata di san Girolamo sono diventate sette, con l’aggiunta della pietà e con questo settenario abbiamo varcato i secoli dal catechismo romano a quello tridentino fino ai giorni nostri. È un tema caro agli adulti, a quelli che hanno fatto la catechesi preconciliare o immediatamente postconciliare. Anche le catechiste hanno sempre piacere di spiegare ai ragazzi i sette doni dello Spirito».

Sette doni che poi, secondo il titolo, sono uno.
«Sette è il simbolo della perfezione, per cui elencare i sette doni dello Spirito equivale a dire che il dono di Dio è perfetto, non manca di nulla e il dono perfetto che riceviamo con i sacramenti è Gesù nel suo Spirito. E questo dono sarà sempre con loro, che lo sappiano o no».

I sette sono uno. Ma ce n’è uno che, secondo lei, sarà particolarmente utile al cammino di fede dei suoi ragazzi?
«Forse i giovani d’oggi avranno più bisogno di quel dono che sta sotto il nome di scienza. In realtà nei sei doni del profeta Isaia si parla di “conoscenza e timore del Signore”. È il conoscere intimamente Dio, conoscerlo da amici. Quando Gesù ne parla ai suoi dice: “Conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi…”. Questa conoscenza intima, non libresca, esperienziale quasi di Dio vuol dire essere continuamente vicini a lui e metterlo vicino a sé. Non ha niente a che fare con la scienza galileiana, è un’altra cosa quella che ci dona lo Spirito santo per cui il credente anche se non ha studiato molto, anzi, anche se non ha studiato per niente e non sa niente di teologia ha una sua conoscenza del Signore perché lo ama, perché sa riconoscere le parole che vengono da Lui, dovunque le trovi. Questo è ciò che sarebbe bello rimanesse in tutti quelli che fanno l’itinerario catechistico-sacramentale».

È un po’ come se lei affidasse i suoi ragazzi al Signore.

«Dentro di me c’è la consapevolezza che questi ragazzi stanno imboccando tante altre strade, e ovviamente mi dispiace, però ci sono tante altre voci oggi a questo mondo a cui dare retta. Spero che un giorno tornino consapevolmente alla loro fede e, al di là di quello che abbiamo potuto fare, poco o tanto, noi educatori parrocchiali, mi affido alla voce del Signore, al suo Spirito, ai suoi mezzi, alle sue capacità e alle sue occasioni. Non è per delegare tutto a Lui, anche noi ci domandiamo come essere chiesa in uscita, come raggiungerli ancora, ma finora vediamo che possiamo fare poco. Io dico loro che le porte della chiesa rimangono aperte, che possono uscire e possono sempre rientrare e che la voce di Dio resta dentro di loro. L’ho scritto nell’ultima pagina del mio libriccino, che è una sorta di congedo».

L’edizione del Messaggero è commentata dalle tavole di Luca Salvagno. Che cosa aggiungono al suo testo?
«I disegni sono molto piaciuti, mettono in evidenza, con lo stile dei writers, la grande vitalità dei ragazzi; sono pieni di energia, sono ritratti in pose molto dinamiche, il contrario dell’oleografia religiosa di una volta che li mostrava in ginocchio, con le mani giunte. Il grafico Luca Salvagno li ha voluti ritrarre mentre si divertono, ascoltano musica, corrono con lo skateboard, ballano, saltano. È un modo non solo per dire la loro energia naturale, quella tipica della loro età, ma anche la loro energia spirituale, conferita dallo Spirito santo. In realtà nell’Antico Testamento la discesa dello Spirito causava fenomeni di questo tipo: Saul e Davide si mettevano a danzare e a cantare. Anche nella Pentecoste, quando i discepoli escono dal cenacolo, cominciano a parlare altre lingue, ma evidentemente lo fanno in maniera tutt’altro che compassata perché qualcuno subito annota: “Ma questi sono ubriachi di mosto!”. Questo scatenarsi, questo inebriarsi porta a uno stile un po’ scomposto, potremmo dire tutto sommato poco liturgico...».

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