Il card. Sarah a Padova per presentare i Canones poenitentiales di don Gianandrea Di Donna

Mercoledì 17 maggio nel teatro del seminario viene presentata la ricerca del docente padovano che dal passato ricava alcune considerazioni sul presente: oggi la penitenza è diventata un patto privato tra confessore e fedele, mentre un tempo veniva sottolineato il suo aspetto ecclesiale. Fino al concilio di Trento l’assoluzione non veniva data se prima non era stata compiuta la penitenza che prevedeva l’esclusione dall’eucaristia e il digiuno

Il card. Sarah a Padova per presentare i Canones poenitentiales di don Gianandrea Di Donna

Irrobustita dalla lectio magistralis su “La penitenza nella vita della chiesa. Prospettive teologico-pastorali” tenuta dal card. Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, si svolgerà mercoledì 17 maggio a partire dalle 17.30 nell’aula magna della Facoltà teologica del Triveneto, splendido esempio di “teatro di palazzo” del seminario maggiore di Padova, la presentazione di Canones poenitentiales (pubblicato presso il Pontificio istituto orientale di Roma per le edizioni Orientalia Christiana - Valore italiano editore).

L’opera in quattro volumi di don Gianandrea Di Donna, dopo il saluto del vescovo mons Claudio Cipolla, presente anche nella veste di vice gran cancelliere della Facoltà teologica del Triveneto, e del preside della Fttr mons. Roberto Tommasi, sarà presentata da don Riccardo Battocchio, vicepreside e docente di teologia sistematica alla stessa facoltà. Dopo la lectio del card. Sarah, il maestro Jean Guillou, organista titolare della chiesa di Saint-Eustache a Parigi eseguirà musiche di Bach, Scarlatti e Liszt prima della conclusione dell’autore, docente di liturgia alla Fttr e al Pontificio istituto orientale, a cui chiediamo di spiegare il suo lavoro.

Che cosa sono i canoni penitenziali di cui tratta nel suo libro?
«Per capire, bisogna fare qualche passo indietro nella storia della penitenza nella chiesa. Dopo i primi secoli, in cui la penitenza detta “patristica” (o “canonica”) segue una prassi disciplinare molto rigida, gravosa nelle penitenze imposte ai peccatori, pensando soprattutto ai delicta graviora, o maiora, cioè i peccati ritenuti più gravi: l’apostasia, l’omicidio e l’adulterio, si avvia nel sesto secolo, nel nord dell’Europa e specificamente nei monasteri dell’Irlanda cristiana, un’operazione di “ammorbidimento” di questa severità penitenziale, e nello stesso tempo di approfondimento della descrizione della casistica delle colpe».

In cosa consisteva la penitenza?
«Bisogna anzitutto dire che prima del concilio di Trento l’assoluzione dal peccato confessato non avveniva all’atto della confessione del peccato stesso, ma solo al termine dell’itinerario penitenziale, una volta compiuta la penitenza imposta, proporzionata alla colpa commessa. La vera penitenza consisteva per gli antichi sostanzialmente nel divieto di accostarsi all’eucaristia, la excommunicatio, a cui si aggiungeva la penitenza in pane et acqua, in base alla quale nei giorni penitenziali – martedì, mercoledì e venerdì – non si poteva prendere nulla se non pane e acqua fino al tramonto del sole. Tale itinerario, proporzionalmente alla colpa commessa, durava anche anni».

Cosa succede nel sesto secolo?
«I monaci irlandesi, con un atteggiamento che potremmo chiamare, con un termine moderno, pastorale, decidono di “ammorbidire”, cioè di ridurre la durata delle penitenze dando origine a un fenomeno di compilazione di libri canonico-penitenziali redatti specialmente nei monasteri, dai vescovi, dai monaci evangelizzatori dell’Europa come ad esempio il penitenziale slavo orientale chiamato Comandamenti dei Santi Padri, composto probabilmente nel nono secolo dai santi Cirillo e Metodio.

In questi libri penitenziali (autentici “tariffari” per i confessori), venivano descritti i peccati che possono essere compiuti, declinati secondo le circostanze (chi l’ha commesso, in che stato sociale si trova, le situazioni che possono modificare la qualità della colpa). In ragione a tutto ciò il “tariffario” prevedeva la penitenza, alla fine della quale il peccatore otteneva l’absolutio e quindi veniva riammesso alla comunione eucaristica. A Roma per esempio, la mattina del giovedì santo era celebrata una messa prima di quella crismale detta della riconciliazione dei peccatori».

Come ha studiato questi antichi codici?
«La produzione di “tariffari” tra 6° e 12° secolo è ciclopica, soprattutto in Occidente, dove si diffondono a macchia d’olio dall’Irlanda all’Italia, minore in Oriente. Ho studiato nella mia tesi di dottorato al Pontificio istituto orientale, nella facoltà di scienze ecclesiastiche orientali (sezione liturgica) questa foresta di libri penitenziali e li ho sottoposti a un vaglio statistico, costruendo una sorta di lexicon della penitenza tariffaria classificando, studiando e riassumendo in indici ogni genere di peccato, di circostanza, secondo qualunque modalità. Così gli studiosi possono risalire rapidamente alla prassi della penitenza tariffata».

Oltre agli specialisti, a chi è rivolto il suo studio?
«Benché l’opera sia prettamente di carattere scientifico, non è però aliena da ispirare la vita contemporanea della chiesa, come già dimostra il tema della lectio del card. Sarah. Il senso del mio lavoro è anche quello di mettere in relazione le antiche fonti con la prassi attuale della chiesa.

La prima riflessione riguarda il fatto che il peccato sia sempre letto in relazione alla persona, alle sue condizioni di vita: non esiste mai il peccato nella sua fredda oggettività, ma l’azione peccaminosa, cioè contraria alla rivelazione, può essere imputata al peccatore sempre e solo in relazione alla sua personale condizione. Il secondo aspetto, molto diverso dal tempo in cui stiamo vivendo, è che la penitenza era un fatto di chiesa, non privatistico tra confessore e peccatore. La prassi penitenziale per i peccati commessi, oggi è lasciata alla decisione del confessore, non esistendo nessuna norma ecclesiale. Terzo, la storia dei Penitenziali dice al cristiano contemporaneo l’importanza della relazione con l’eucaristia: seguire Cristo e vivere in comunione con il suo amore, con la luce della Verità, abbandonando quindi il male commesso, conduce al supremo atto di relazione con Lui che è la comunione eucaristica»

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