Sinodo diocesano. Ci siamo messi in strada, non fermiamoci ora

Se la ricorda, Luigi Gui, la telefonata con cui don Giampaolo Dianin gli chiedeva di far parte del gruppo di persone, la Commissione preparatoria, che avrebbe avviato la “macchina” del Sinodo della Chiesa di Padova.

Sinodo diocesano. Ci siamo messi in strada, non fermiamoci ora

«Ho provato un’immediata preoccupazione – racconta – Se avviamo questo processo, ho pensato, ci prendiamo una bella responsabilità. Era importante anche darsi un metodo rigoroso con cui camminare, non tanto per essere rigidi, ma per capire i margini dell’impegno per le persone coinvolte e per compiere un percorso consapevole e trasparente». 

Coinvolgimento e ispirazione
Con in mano la lettera post-sinodale Ripartiamo da Cana, Luigi Gui guarda a due componenti che il cammino sinodale ha messo insieme: «Il coinvolgimento democratico di un grande numero di persone, di popolo, con un orientamento ispirato, illuminato dallo Spirito, e in qualche modo da chi ha autorità pastorale nella Chiesa. Ovviamente in una prospettiva che non è l’interesse di qualcuno, ma che è seguire un cammino di Chiesa che non ci appartiene. È una miscela non scontata. Questa composizione oscillante è una dinamica che ha accompagnato, e accompagna tutt’ora, il Sinodo. Tanto più in un’epoca come la nostra, in cui vi è la polverizzazione delle opinioni, delle competenze, se vogliamo anche un certo particolarismo, per cui accomunarsi non è cosa ovvia. Il Sinodo, in qualche modo, è stata una grossa spinta a condividere, nel senso di dividere insieme, mettere insieme. Già questa è un’impresa, però è anche un valore». Tante persone, fin dall’inizio del cammino, si sono “messe in strada” «secondo precise indicazioni su come procedere. Talvolta addirittura con un metodo che sembrava fin troppo rigoroso: quante persone nei gruppi, quanti incontri fare, i compiti dei facilitatori, il tempo da dedicare... Poteva sembrare un po’ difficile da seguire e qualche mal di pancia, forse, da parte di alcuni c’è stato, però in questo modo – pagato questo scotto di una regolazione condivisa – si è consentito veramente a migliaia di persone di avere la percezione di condividere. Questo è stato, a mio avviso, un valore importante». Ma c’è un rischio, tuttora presente: «L’idea di aver fatto questo sforzo, anche entusiasmante, verso una meta da raggiungere, verso una conclusione. Come se, in qualche modo, l’esito del Sinodo fosse un documento o un’indicazione normativa precisa, quindi facciamo tutta questa fatica per arrivare al frutto finale. Forse non vi è un frutto conclusivo, un atto finale. È una tappa importante, certo.... Il Sinodo in qualche modo ha messo in cammino, ma se si percepisse come esito conclusivo la lettera post-sinodale, credo che sarebbe un po’ un tradimento di quanto vissuto. Non solo, sarebbe anche una forte disillusione. Perché, per quanto ricca o meno sia la lettera post-sinodale, per certi versi non riesce a soddisfare l’attesa, la speranza, l’entusiasmo, le incertezze di tutte le persone, a migliaia, che si sono messe in gioco. Se una persona che ha partecipato al cammino, in qualsiasi fase, pensa di ritrovarne tutta la ricchezza dentro le pagine della lettera post-sinodale, è destinata alla delusione. La ricchezza, in realtà, sta nell’essersi sentiti chiamati a una corresponsabilità, che non è relativa alle parole scritte nella lettera, ma al cammino della Chiesa diocesana. Se ci siamo messi in cammino, dobbiamo continuare a farlo. Il tradimento maggiore sarebbe se ci si fermasse, ma sono convinto che non sarà così. Forse il grosso impegno che si troveranno ad avere il vescovo, i vicari, gli uffici diocesani e le parrocchie... sarà quello di mantenere il ritmo del cammino. Ci vogliono fortezza e sapienza per riuscire a non fermarsi e a non rimanere disorientati». 

Un orizzonte comune sì, ma...
Il vescovo Claudio, riferendosi a quanto ha “generato” il cammino sinodale, parla spesso di orizzonte comune a cui guardare. «Lo interpreto non come un oggetto dettagliato a cui tendere tutti, ma è la medesima prospettiva di sguardo. Non dobbiamo cadere nell’inganno di pensare di vedere esattamente l’orizzonte... È una prospettiva in cui ci mettiamo. In questo senso, quindi, qualcuno cammina più veloce e qualcuno più piano, qualcuno guarda più lontano, qualcuno un po’ meno vicino, ma la prospettiva, cioè la posizione che assumiamo verso una direzione, è condivisa. Perché l’orizzonte, lo sappiamo bene, quando si cammina non lo si raggiunge mai. Dobbiamo cercare di averne una prefigurazione, ma anche sapere che poi ci sono tanti altri accadimenti che non stanno nel nostro controllo». 

Un patrimonio prezioso
C’è stato un momento, nel cammino sinodale, in cui Luigi Gui – insieme ad altri – si è trovato in mano il frutto, migliaia di pagine e parole, degli Spazi di dialogo vissuti in parrocchia e di quelli “di ambito”. «Abbiamo cercato di rielaborare il tutto, anche con strumenti informatici, per rilevare la prevalenza dei contenuti che emergevano. Ma non è stata solo un’operazione statistica! C’è stata insieme l’attenzione a non perdere la ricchezza dell’eterogeneità dei contenuti, ma anche valorizzando la pregnanza di alcuni rispetto ad altri. E qui si è inserito, inevitabilmente, anche un lavoro interpretativo. Per certi versi vuol dire anche arbitrario, in qualche modo orientato dalla soggettività. E questa è la parte di responsabilità. Non c’è se applico una formula tecnica, è un dato che assumo. Responsabilità è quando io decifro quel dato, gli attribuisco un valore e faccio delle scelte: quello è un momento responsabile, che ovviamente non è mai una scelta solitaria. Penso, nel caso del Sinodo, al lavoro insieme alla segreteria, alla presidenza, al vescovo. Può darsi che in questo processo qualcuno, magari, non si sia sentito del tutto riconosciuto e interpretato tra la grande quantità delle persone che hanno contribuito. Può essere che qualche frammento non sia stato raccolto e che qualcuno abbia provato un senso di non adeguata attenzione. È possibile, nei cammini umani va messa in conto, non in modo cinico, anche la possibile delusione di alcuni che, carichi di aspettativa, poi magari non hanno trovato ciò che speravano». Il patrimonio di dati raccolti era ricchissimo: «In altri contesti si potevano fare pubblicazioni scientifiche – confida Gui – ma si è scelto diversamente. Il valore maggiore di quel patrimonio non sta negli eventuali documenti, che pure sono importanti, ma nella ricchezza di esperienza di chi l’ha vissuto. E in questo senso penso che tante persone abbiano goduto del valore di quella esperienza. E se facessero l’errore di interpretarla solo come contributo all’esito finale, lo ribadisco, tradirebbero una ricchezza che continua a germogliare». 

E adesso?
«I consigli pastorali parrocchiali, che sono in fase di rinnovo, ricevono un bel testimone in mano. Perché dovranno chiedersi come riuscire a “mettersi in strada” ed è una grossa responsabilità. Ovviamente in questo avranno bisogno di trovare una sponda negli uffici diocesani. Penso al tema non semplice della ministerialità, che deve tradursi in concretezza: non possiamo lasciarlo come un appello generico. Quindi, vedo i consigli pastorali da un lato e gli uffici diocesani dell’altro, che si trovano con una responsabilità importante. Ovviamente all’interno di questo “movimento” ci sono anche i pastori, che non possono essere lasciati con il cerino in mano. Ci sono delle indicazioni, che ora vanno accompagnate da parte del vescovo, degli uffici... L’accompagnamento sarà la chiave necessaria per non far fermare il cammino». 

Non possiamo perdere di vista...
«Un aspetto che leggo fra le righe della lettera post-sinodale, ma non nelle righe, è la co-costruzione della Chiesa fra i ministeri ordinati e il popolo di Dio. È chiaro che c’è, ma non è esplicito ed è complesso. Parlando di preti siamo in un passaggio storico, anche epocale, sul piano numerico, sul piano culturale e del loro ruolo sociale. La figura del prete muta molto rapidamente, così come la sua autorevolezza. Allo stesso tempo la capacità o meno dei laici assume funzioni differenti. È una questione cruciale. Se le équipe ministeriali fossero dei vice parroci sarebbe un fallimento. Questo aspetto richiederà tutta la sapienza e la fede necessaria. Lo stesso vale per i gruppi di ascolto della Parola di Dio, che non sono delle piccole comunità che si inventano a nuovo modo di interpretare la Bibbia, ma che vivono in comunione con la propria comunità di riferimento. Questa dimensione propriamente pastorale è fra le righe, ma è cruciale dal mio punto di vista. Ci vorranno tanta fede e tanto coraggio, ma anche fiducia, per superare i momenti che potrebbero essere difficili.  Il cammino non è in discesa. È entusiasmante, ma non in discesa». 

Con la Difesa dentro la lettera post-sinodale

Continua l’“accompagamento”, da parte della Difesa, del viaggio intrapreso dalla lettera post-sinodale Ripartiamo da Cana. L’obiettivo è offrire occasioni di approfondimento alle parrocchie, ma con un’attenzione particolare a quanti si impegneranno negli organismi di comunione in rinnovo. Dopo aver raccolto lo sguardo di Francesco Ballan, vicepresidente del Consiglio pastorale diocesano, abbiamo bussato alla porta di Francesca Schiano, che ha guidato lo stesso organismo di comunione dal 1993 al 1998. Questa settimana proponiamo una chiacchierata con Luigi Gui, sociologo padovano, e che è stato coinvolto nei lavori della Commissione preparatoria del Sinodo della Chiesa di Padova. Le prossime tappe? Sicuramente andare a “scavare” nelle proposte emerse dai lavori dell’Assemblea sinodale.

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