La tavola degli elementi. Una promessa che si rinnova

Ciò che non comprendiamo di Dio, diventa stimolo per continuare a cercare

La tavola degli elementi. Una promessa che si rinnova

Il 6 marzo di quest’anno il mondo della scienza ha festeggiato un anniversario particolare, direi quasi esaltante. Nel 1869, in questa stessa data, Dmitrij Ivanovič Mendeleev presentò per la prima volta alla Società chimica russa la sua tavola periodica degli elementi: una tabella organizzata in righe e colonne che non solo cataloga, ma dà chiaramente una struttura agli elementi conosciuti.

All’epoca la tavola periodica di Mendeleev aveva dei buchi: lo scienziato aveva previsto l’esistenza di altri elementi non ancora scoperti, precisandone le caratteristiche fisiche e chimiche. Nel corso di pochi anni quella struttura fu confermata dalla scoperta di elementi come scandio, gallio e germanio, le cui caratteristiche si mostrarono straordinariamente vicine a quelle previste.

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Ma non è finita qui. A oggi abbiamo scoperto tutti gli elementi naturali, cioè sufficientemente stabili in natura, e anche molti che non sono stabili ma che possono essere riprodotti in laboratorio. Abbiamo coperto tutti i buchi e stiamo solo proseguendo. Ciò che sorprende ancora di più è che la periodicità scoperta da Mendeleev è il risultato di una struttura molto più fine, data dalle configurazioni dei diversi orbitali nei quali possiamo trovare gli elettroni dell’atomo. Ma qui siamo pienamente dentro alla meccanica quantistica, nell’ambito della fisica che studia le particelle elementari. Eppure Mendeleev non conosceva né la struttura dell’atomo né tantomeno la meccanica quantistica.

Mi fa riflettere questa capacità di predizione. Essa dice un ordine, una razionalità, un metodo, quello scientifico, che continua a darci un’immagine sempre più completa e complessa del mondo. Ma dice anche un certo grado di fiducia: gli scienziati partono da intuizioni e ipotesi, da verificare e aggiustare; costruiscono teorie che devono spiegare come stanno le cose ma anche predire ciò che non abbiamo ancora scoperto. Proprio come i buchi della tavola periodica degli elementi. Su queste predizioni si basano le ricerche che vengono compiute. Una sorta di promessa che ha bisogno di tempo, dedizione e impegno perché possa realizzarsi. Inoltre, sotto a una struttura apparentemente semplice è possibile scoprire un mondo più complesso, più affascinante e più incredibile di quanto possiamo immaginare. Una fiducia che, unita all’intelligenza, scopre la bellezza del mondo.

Il modo in cui l’uomo interroga e conosce il mondo per certi aspetti non è diverso dal modo in cui conosce Dio. Abramo lascia la sua terra sulla base di una promessa, e tutta la storia del popolo di Israele è fondata su quella promessa: una terra, un popolo, una benedizione. C’è bisogno di tempo, di costanza, di fedeltà perché essa si realizzi. E ogni volta che si potrebbe mettere la parola “fine” a questa storia, si scopre che quella promessa diceva qualcosa di più profondo e di più grande, su Dio e sull’uomo.

Abramo avrà un figlio e scoprirà il volto fedele di Dio; il popolo di Israele uscirà dall’Egitto e scoprirà un Dio potente e liberatore; al ritorno dall’esilio sperimenterà un Dio misericordioso. La “verità”, per il mondo biblico, è proprio questo: una promessa che si realizza nel tempo. Qual è la promessa realizzata da Dio per noi? La risposta è già data: Gesù Cristo, morto e risorto. La sua persona e il suo Vangelo sono ancora oggi una traccia da seguire per scoprire sempre più in profondità il volto di Dio. E ciò che ancora non comprendiamo di lui diventa così uno stimolo per non smettere mai di cercare.

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