Barcellona - Madrid, l’ora della prova di forza

Il referendum per l’indipendenza della Catalogna, che dovrebbe svolgersi il prossimo 1° ottobre, rischia di condurre la Spagna alla guerra civile. Se davvero i catalani si recheranno a votare per staccarsi dal potere statuale di Madrid, infatti, le probabilità che il governo centrale decida di usare la forza dell’esercito si farebbero davvero concrete. Specie dopo l'arresto di 14 alti funzionari del governo regionale.

Barcellona - Madrid, l’ora della prova di forza

Secondo la costituzione della Spagna il voto sull’indipendenza di una regione spagnola è incostituzionale, mentre per gli indipendentisti il voto significherebbe il passaggio fondativo di un percorso per arrivare a uno stato autonomo.
E così il referendum per l’indipendenza della Catalogna – che dovrebbe svolgersi il prossimo 1° ottobre ed è stato promosso attraverso una legge ad hoc del Parlamento della Catalogna – rischia di condurre la Spagna alla guerra civile. Se davvero i catalani si recheranno a votare per staccarsi dal potere statuale di Madrid, infatti, le probabilità che il governo centrale decida di usare la forza dell’esercito si farebbero davvero concrete. 

Il premier spagnolo Mariano Rajoy, leader del Partito popolare, ha ribadito solennemente che il governo di Madrid farà di tutto per impedire il referendum, privando se necessario gli organizzatori anche dei mezzi materiali e umani necessari per la consultazione.
«Se qualcuno ha intenzione di recarsi a un seggio, non lo faccia, perché non ci può essere un referendum e sarebbe un atto assolutamente illegale».
La Procura di Madrid ha inviato alle procure catalane una direttiva del procuratore capo dello stato José Manuel Maza, in cui si intima agli oltre 700 sindaci aderenti all’Associazione dei municipi per l’indipendenza di “fermarsi”. Per coloro che si rifiuteranno di ottemperare all’alt della procura ci sarà l’arresto. Inoltre la Corte costituzionale spagnola ha sospeso la legge per la scissione promulgata dalla Generalitat. In risposta il parlamento catalano ha approvato una “contro legge” che entrerebbe in vigore in caso di vittoria dei secessionisti. 

A maggio il presidente catalano, Carles Puigdemont Casamajo, annunciando l’intenzione di indire il referendum aveva espresso con forza l’ennesima volontà catalana di arrivare alla secessione: «In attuazione del mandato democratico, la decisione di tenere il referendum è un esercizio del legittimo diritto all’autodeterminazione di una nazione». 

La Catalogna è composta da quattro province: Barcellona (capoluogo), Girona, Lleida e Tarragona. Costituisce il più esteso e popolato dei territori catalanofoni, ha una popolazione di 7,5 milioni di persone, ed è la regione più popolosa della Spagna dopo l’Andalusia. I catalani hanno inoltre anche il maggior pil regionale del paese, con 212 miliardi di euro. 

A marzo la regione separatista ha approvato anche un progetto di bilancio per assegnare 5,8 milioni di euro alle attività preparatorie del referendum.
Il precedente tentativo referendario del 2014 (che vide circa l’80 per cento dei quasi due milioni di votanti esprimersi a favore dell’indipendenza e che rappresenta la base politica della nuova battaglia secessionista) costò un processo penale ad Artur Mas, allora governatore, e a febbraio di quest’anno migliaia secessionisti catalani hanno protestato con forza di fronte alla sede della Corte d’appello di Barcellona.
Secondo l’agenzia di rating Dbrs eventuali scossoni istituzionali potrebbero avere ripercussioni devastanti sull’economia spagnola, «se il voto di ottobre fosse seguito da altri sviluppi significativi, come una dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte della Catalogna».

A catena, una eventuale secessione catalana potrebbe innescare in altre nazioni europee una nuova ondata di fervore secessionistico, con effetti tutti valutare all’interno del difficile processo di normalizzazione comunitaria post-Brexit.

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