Maggio 1915: dalla speranza della pace alla certezza della guerra

Nei primi due numeri di maggio 1915 ricorrono assillanti sulle prime pagine della Difesa gli interrogativi: “L’Italia vuole o non vuol la guerra?” (9 maggio), “Si va o non si va in guerra?” (16 maggio).
Nel primo numero del mese l’articolista si dichiara convinto che ormai l’entrata in guerra sia inevitabile, ma avverte che è illusione pensare di far fuori il nemico in quattro e quattr’otto, per potersi sedere bellamente al tavolo dei vincitori. E così, infatti, sarà…
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Maggio 1915: dalla speranza della pace alla certezza della guerra

Il numero del 23 maggio abbandona ogni speranza titolando “Siamo alla guerra”
Il pezzo di apertura inizia così: «Al momento in cui andiamo in macchina nessuna seria speranza più esiste che l’Italia possa evitare la guerra. Le trattative italo-austriache devono ritenersi naufragate dappoiché le concessioni che già si conoscono fatte dall’Austria all’Italia – oltre all’essere ritenute insufficienti – sono state fatte dopo la scadenza del termine ultimo posto dal governo italiano, quando ormai l’Italia aveva preso impegno con la Triplice intesa...». 
Lo stesso pezzo si conclude con queste parole: «Quando i nostri lettori riceveranno il giornale forse il cannone avrà già annunciato che l’Italia intende compiere con le armi i suoi destini. Che Iddio misericordioso benedica a noi e renda meno terribile per l’Italia la prova sanguinosa!».

La guerra bussa appena alle porte e già il mondo cattolico si mobilita per alleviarne le sofferenze
Nello stesso numero la cronaca diocesana riporta che il Comitato femminile di soccorso in caso di guerra di Montagnana ha raccolto duecento adesioni e annuncia l’intenzione di istituire piccoli asili provvisori per raccogliere i bambini poveri che hanno il padre richiamato alle armi, in modo da sollevare le madri costrette a lavorare, nei campi o in altre sedi, per sostenere la famiglia.

Nel numero successivo, l’annuncio de “La guerra italo-austriaca” campeggia a tutta pagina
Sotto il titolo “Il dovere di chi parte e di chi rimane” vengono elencate in dodici punti le norme riguardanti la preparazione civile alla guerra. Si auspica tra l’altro che sia concesso «a mogli e sorelle di impiegati od operai, quando è possibile, di prendere il posto di coloro che partono perché non manchi alla famiglia il guadagno necessario alla vita»; l’attività delle donne è considerata indispensabile «nelle Poste e nei Telegrafi, nelle ferrovie, nelle tranvie, nelle banche e in tutti gli altri uffici pubblici e privati», nella cura dei feriti, come infermiere, e nell’organizzazione e direzione delle opere di soccorso.
«Migliaia di bambini – si scrive anche – si troveranno forse abbandonati perché le madri operaie e professioniste dovranno sostituire gli uomini nei servizi pubblici. Ma altre madri e fanciulle – tutte quelle che hanno tempo libero – devono dedicarsi a quest’opera materna di raccogliere i bambini». Chi possiede terreno, si suggerisce, «deve avere la previdenza di coltivarlo a ortaggi e farvi ove può allevamento di polli, conigli, oche, piccioni».

Il commento del giornale è affidato a un taglio basso, che ribadisce sia la contrarietà del mondo cattolico alla guerra, sia la fedeltà alla Patria
«Poche parole da parte nostra. Noi fummo sempre contrari ad una guerra come guerra, anzi, avemmo desiderato – ed anche sperato – una soluzione pacifica che soddisfacesse alle legittime aspirazioni italiane e non obbligasse la patria nostra ad una lotta che certo sarà sanguinosa e richiederà gravi sacrifici. Ma ciò non fu possibile. Il nostro governo annunziò che le arti della diplomazia non approdarono, e che fu necessario ricorrere ad altri mezzi. È per questo che invocò i pieni poteri dalla Camera e li ottenne nella storica seduta di giovedì con voti segreti 407 contro 74. L’Italia dunque è già entrata nel tremendo conflitto. Mai come oggi fu necessaria la concordia nazionale. Mai come oggi si sentì il bisogno di giovinezze forti e non sfibrate, di menti sane e non corrotte, di animi generosi e non codardi. I cattolici sanno di aver cooperato a formare una generazione forte, sana, integra: lo hanno fatto con tutte le forze loro, propugnando sempre quella educazione ai giovani che trae dal cristianesimo tutto ciò che è forza e vita. Ed oggi l’opera nostra sarà benedetta dalla Patria a cui consegniamo i nostri migliori giovani. Che Iddio benedica all’Italia! e nel cimento, faccia sì che l’opera nostra valga al trionfo della giustizia ed affretti la pace su tutto il mondo sconvolto. Il sacrificio è grande, ma è grande l’animo dei cattolici italiani: sereni alla luce della nostra fede, forti nell’amore alla nostra patria!»

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Parole chiave: maggio 1915 (1), prima guerra mondiale (36), grande guerra (51)