Probabilmente quello che abbiamo visto in questi mesi non è il vero smart working. Non è quella forma di lavoro agile che esisteva prima del Covid e che in alcuni Paesi venne avviata dagli anni '90. Il nostro è uno smart working d’emergenza, bene accolto dai lavoratori e deciso unilateralmente dalle aziende nell'affanno di una drammatica crisi sanitaria. Quello che vediamo è troppo poco regolato, si inventa sulle fragili connessioni esistenti, non ha separazione fra tempi di lavoro e di vita. Dal punto di vista dell’impresa, è poco coordinato e controllato nella misurazioni delle performance (tema delicatissimo – lo si vedrà nei prossimi mesi - da un punto di vista sindacale e della privacy) sulle operazioni standardizzabili. E’ una materia tutta da definire, comprende salute e orari variabili, diritto alla disconnessione, ricadute contrattuali e sulle procedure per lavorare in team
Lo stravolgimento della pandemia, con la preoccupante evoluzione delle ultime settimane, costringe famiglie e imprenditori in un clima di attesa che frena le nuove iniziative. In un contesto di deflazione, con produzioni e consumi congelati, le imprese hanno margini ridotti e tenderanno a non assumere nuovi lavoratori e a ridurre gli esistenti
Se la pandemia rialza la testa in Europa, rischiano di svanire quei segnali di ottimismo che erano emersi dalle imprese e che avevano favorito il ritorno al lavoro di una parte dei cassaintegrati. È l'emergenza occupazione, fra le principali preoccupazioni per il prossimo autunno. Diventa ancora più urgente avviare il flusso di 750 miliardi che la Commissione Ue ha previsto con il Recovery Fund. Maggior beneficiario è l'Italia con 209 miliardi e per tanti motivi il Governo ha interesse a stringere i tempi. Solo presentando progetti credibili di rilancio entro l'autunno è possibile accedere a un prefinanziamento pari al 10% del totale, quindi una ventina di miliardi da utilizzare subito. Vale per tutti i Paesi europei, per l'Italia è il carburante indispensabile per riavviare un motore che girava al minimo prima del Covid
Il Governo dovrà mettere a punto le riforme e da settembre presentare le più urgenti. La Commissione a ottobre le vaglierà. Solo così si aprirà il rubinetto dei fondi europei. C’è la possibilità di attivare anche il Mes (Fondo salvastati) che vale altri 36 miliardi. Gli imprenditori e parte delle forze politiche sono favorevoli, il Governo è diviso. Farà di tutto per far funzionare presto e bene il Recovery
Probabilmente i circa 27 milioni di italiani che comprano buoni e libretti postali non hanno ben chiaro che gran parte dei miliardi raccolti dalle Poste (erano 265 nel 2019) sono a disposizione della Cassa depositi e prestiti (Cdp) per le sue attività di finanziamento alle imprese, per diverse iniziative sociali e per assumere partecipazioni in grandi società. Di Cdp si parla molto in questi ultimi anni, si chiede il suo intervento in casi di salvaguardia del ruolo pubblico nell’economia o in casi disperati: Ilva, Alitalia e ora per rimettere nelle mani dello Stato il servizio autostradale privatizzato nel 1999 a vantaggio di Atlantia della famiglia Benetton. Il dibattito di queste ore sul ritorno dello “Stato padrone” è, come spesso accade, molto ideologico
Con l'emergenza non ancora superata, l'Unione europea sta discutendo la sua casa comune, i conti di famiglia, che vincoli dare all'impressionante disponibilità di denaro messa in circolazione. Alla fine i nodi sono quelli di sempre: se i soldi sono di tutti gli europei, i Governi e i Parlamenti nazionali ne possono disporre con discrezionalità totale? Se la crisi sanitaria ha colpito alcuni Paesi più di altri quanto sforzo deve essere fatto per rimetterli a camminare? Se nella casa comune europea tutti hanno il diritto di veto si resta bloccati? È corretta la concorrenza fiscale tra gli abitanti dello stesso condominio?
Senza esito il primo incontro dell’Eurogruppo, una seconda e decisiva riunione è attesa per metà luglio. Nell’ipotesi migliore all’Italia dovrebbero arrivare dal Piano europeo Recovery Fund oltre 170 miliardi di flussi a fondo perduto e prestiti; anche in caso di ridimensionamento il percorso di rilancio potrà contare su cifre enormi oltre ad altri prestiti che si potranno attivare. I finanziamenti arriveranno nel 2021 (forse con qualche anticipazione) e saranno legati a dei progetti ben definiti e credibili. Che dovranno essere approvati dal Governo e dal Parlamento. Qualche spunto è emerso a Villa Pamphili, nove giorni interlocutori per l’economia in attesa di decisioni ben più impegnative
L’emergenza richiederà un ruolo più forte dello Stato e delle strutture regionali pubbliche nelle imprese. Da una parte si teme una maggiore invasività della politica e scarsa efficienza, dall’altra vengono immessi soldi pubblici (cioè di tutti) e qualche controllo ci vorrà. Di tutto questo si sta discutendo per preparare il Decreto Legge di maggio atteso a breve. Metterà a disposizione 55 miliardi, altri arriveranno dall’Europa e da organismi sovranazionali. La liquidità straordinaria serve per l’emergenza, meglio se saprà anche indicare un percorso
Tutti i parametri stanno saltando e il Fondo Monetario Internazionale stima per quest’anno un incremento al 155% del rapporto debito/Pil italiano (150% nel 2021) rispetto al 135% del 2019 che faceva già paura. Nel complesso il debito mondiale, in questo terribile 2020, scivolerà dall’83,3 al 96,4 percento. Rimontare la china non sarà un percorso breve