Da 50 anni la carità abita all'ospedale di North Kinangop

Sabato 14 novembre una giornata speciale alla presenza del vescovo Mbatia per festeggiare il mezzo secolo di attività dell'ospedale fondato e diretto dai missionari fidei donum padovani. Verranno inaugurate la nuova chirurgia e la terapia intensiva. Don Sandro Borsa:  «La chiesa offre un servizio accessibile e di qualità dove le cure sono ancora un privilegio per pochi».

Da 50 anni la carità abita all'ospedale di North Kinangop

Il grande cancello, sovrastato dalla croce rossa luminosa, si spalanca.
Nel viale d’ingresso si riversa la folla vociante che fino a un attimo prima stava lungo la strada appena fuori, tra i piccoli bazar in legno e lamiera e gli innumerevoli matatu (spericolati furgoncini onnipresenti), pick up e moto giunti perfino da Nairobi.
Al Catholic hospital di North Kinangop, 2.400 metri sul livello del mare, 190 chilometri a nord est dalla capitale, sono le 13 ed è ora di visita.
I parenti dei degenti si mescolano con chi arriva per un controllo, una medicazione, una terapia. Il cortile lastricato tra l’accettazione, la sala d’attesa e gli ambulatori accoglie tutti; il personale medico, infermieristico e organizzativo fa il resto.

È una scena che si ripete, magari non con le stesse proporzioni, esattamente da 50 anni.
Da quando mons. Girolamo Bortignon decise, sull’onda dell’enciclica Fidei donum di papa Pio XII, che per la diocesi di Padova era venuto il momento di dare il proprio contributo all’evangelizzazione, impegnandosi direttamente sull’altopiano del Nyandarhua.
Dal 1965 dunque, la magione abbandonata di un collerico olandese – noto per non esitare a sparare a chi osasse attraversare la sua proprietà – è diventata un punto di riferimento per la salute della popolazione locale.
Così il prossimo 14 novembre sarà grande festa in una giornata che avrà al centro la messa con il vescovo di Nyahururu Joseph Mbatia (presidente del consiglio di amministrazione) e l’arambé – la raccolta fondi – per l’acquisto del nuovo rigeneratore di ossigeno, un macchinario essenziale da 60 mila euro.
Ma la celebrazione di un anniversario così importante sarà anche l’occasione per inaugurare i nuovi reparti di chirurgia e terapia intensiva progettati dall’architetto piovenese Pino Toniolo. Il tutto preceduto da una lunga preparazione svolta assieme alle parrocchie della zona: in attività di prevenzione di vere e proprie piaghe come il diabete, nel promuovere lo sport e la musica con gare di cori, e infine attraverso l’attività formativa assieme alla polizia locale per gli autisti di moto taxi, causa degli innumerevoli traumi che si curano a North Kinangop.
«L’idea che vogliamo trasmettere – spiega don Sandro Borsa, sacerdote diocesano partito da Incino di Arsiè, comunità bellunese della diocesi di Padova, da 37 anni missionario in Kenya e amministratore dell’ospedale – è che l’ospedale non è un’isola a sé: l’ospedale è della gente, è parte integrante di questo territorio».
Il 14 novembre sarà dunque un’edizione speciale della Giornata dell’ospedale ideata già dal compianto don Giovanni Dalla Longa che qui ha lasciato un segno indelebile, come testimonia il busto situato all’ingresso del “villaggio sanitario”.
«L’ospedale com’è oggi – riprende don Sandro, l’unico italiano che oggi opera a North Kinangop, oltre a suor Norberta Pedrini delle Piccole figlie di san Giuseppe – è in gran parte frutto della visione fantastica che ebbe don Giovanni: fu lui a organizzare le strutture in maniera ottimale per l’ospedale gettando anche le basi per i 13 chilometri di acquedotto. Non solo: iniziò l’africanizzazione dell’ospedale, che oggi è sostanzialmente completa, e poi diede avvio a tutte le attività collaterali per la manutenzione».
A North Kinangop infatti operano due carpenterie, una per il legno e una per il ferro, una fattoria da 62 vacche che producono 300 litri di latte al giorno (di cui 130 vengono utilizzati per l’ospedale), 70 pecore, 46 conigli, 22 maiali, ci sono una piccola cava con un frantoio per ricavare materiale da costruzione, e un bosco da almeno 20 mila piante che fornisce il 75 per cento del calore necessario, il rimanente viene dal biogas derivato dal trattamento delle acque nere.

Se si aggiunge che qui ci sono 80 appartamenti nei quali vive la gran parte dei dipendenti e una cappellania che si rivolge a una comunità di 600 abitanti, ecco spiegato perché si parla di “villaggio”.
«La parola chiave è: sostenibilità – riprende don Sandro – le attività ci consentono un sensibile risparmio e così la chiesa locale fornisce un servizio accessibile e di qualità in una situazione nella quale le cure mediche rimangono un fatto elitario».
I 210 letti di North Kinangop compongono così i reparti di chirurgia (64), medicina (80), maternità e ginecologia (60) e pediatria e terapia intensiva. Ci sono le quattro sale operatorie, il day hospital e tutti gli ambulatori specialistici: ginecologia, chirurgia, medicina, pediatria, dentista, fisioterapia, oculistica e preparto. In questo momento è in fase di realizzazione un progetto da 25 mila euro che porterà a gennaio a informatizzare tutto il comparto ambulatoriale, grazie all’apporto di tecnici e informatici volontari italiani.
«A distanza di 50 anni l’ospedale è cresciuto molto e la fase di emergenza è superata – conclude don Sandro – Questo è il tempo della qualità e della specializzazione. Una sfida continua: trovare specialisti in Kenya, dove sono attivi 50 urologi e altrettanti radiologi in tutto il paese, è sostanzialmente impossibile. Per questo le collaborazioni che abbiamo con vari enti italiani, come gli ospedali di Treviso, Padova e Siena, il Gaslini di Genova e molti altri medici che vengono su base volontaria a titolo personale o con associazioni, rimangono ancora oggi determinanti».

I numeri: 330 dipendenti e 73 mila pazienti l’anno

Sono 73 mila le persone che ogni anno vengono a curarsi a North Kinangop.
A loro si aggiungono gli 8.900 pazienti ricoverati, in continua crescita. Solo nel 3,5 per cento dei casi si tratta di Aids, la parte del leone la fanno diabete e scompenso cardiaco.
Sono 36 mila gli esami di laboratorio annuali, mentre duemila sono i parti (500 cesarei in quanto ospedale di riferimento per l’area vasta) e 3.900 le operazioni chirurgiche, dalle più semplici (40 minuti) alle più complesse (anche sette ore).
A garantire queste prestazioni uno staff composto da 330 professionisti, di cui 30 dedicati alla cura delle attività collaterali che garantiscono la manutenzione dell’ospedale.
Gli specialisti sono quattro (internista, chirurgo, pediatra e ginecologo), tre i medici generici, quattro i tirocinanti, sette i clinical officer – una figura intermedia tra infermiere e medico che ha facoltà di visitare e prescrivere medicinali.
Le 80 infermiere, quasi tutte formate nella scuola presente a North Kinangop, e i 40 operatori sociosanitari sono gestiti da una matron. A tutte queste figure vanno aggiunti gli amministrativi e gli addetti alla sicurezza, alle strade e all’elettricità, le cinque operatrici della lavanderia.
Nella farmacia dieci impiegati gestiscono farmaci tutti rigorosamente acquistati in Kenya per un valore di 60 mila euro.
«Il bilancio dell’ospedale – spiega don Sandro Borsa – si aggira attorno ai 2 milioni di euro all’anno: il 53 per cento per i salari, il 25 per cento per il materiale medicale. Chi paga? Non lo stato né la chiesa di Padova o di Nyahururu. Fatta eccezione per i grandi progetti per cui ricorriamo a finanziamenti internazionali, l’ordinaria amministrazione è pagata interamente dai pazienti, come previsto dal sistema sanitario keniano. Nel 71 per cento dei casi attraverso l’assicurazione sanitaria che pure ci fa soffrire con tempi biblici e quote ferme a sette anni fa con un’inflazione annua che galoppa al 10 per cento. Un esempio: un parto in ospedali pubblici costa tremila euro, da noi appena 70».

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