Padre Gabriele Bortolami. Scoprire la Fraternità sulla propria pelle

La prima domenica della Quaresima del Centro Missionario Diocesano: scoprire la fraternità. Che cosa significa per padre Gabriele Bortolami, sequestrato in Angola per otto anni a partire dal 1984.

Padre Gabriele Bortolami. Scoprire la Fraternità sulla propria pelle

Anche in pieno deserto dell'Angola. Anche lungo cinque mesi di marcia estenuante. Sembra impossibile, eppure anche in otto anni di interminabile prigionia da parte della guerriglia africana. "Scoprire la fraternità" è la prima declinazione che il Centro missionario diocesano – che da sempre cura la proposta quaresimale per le comunità padovane – ha scelto per questa prima domenica del cammino verso la Pasqua.

Una scoperta, quella della fraternità, che non finisce mai e che si palesa anche nei contesti più drammatici. A padre Gabriele Bortolami, cappuccino da 35 anni in Angola, bastano poche parole, nel suo tono mite e affabile, per riempire del profumo della fraternità una testimonianza dai toni tragici. «Tutto è cominciato il 27 ottobre del 1984 – testimonia padre Gabriele – Ero arrivato in Africa da poco più di un anno pieno di ideali e di progetti. Per me era un sogno che si realizzava. E invece quel giorno, mentre viaggiavo verso Sanza Pombo con André, un catechista, a bordo della nostra jeep, ho fatto l'esperienza della guerra, sulla mia pelle».

Sul giovane Cappuccino si scatena tutta la frustrazione di un popolo colonizzato dai portoghesi per ben quattro secoli, schiavizzato e deportato nei grandi latifondi brasiliani e represso nella rivolta del 1961. La guerriglia che imperversa nel Paese si abbatte anche contro i missionari, che interpreta come fautori dell'ideologia propria dei conquistatori.

«Dopo la cattura, siamo stati sottoposti a una marcia che dal nord ci ha condotti al sud del Paese, a Jamba, dove poi ho incontrato altri sei religiosi. Mi chiedevo: come si può instaurare una relazione, aprire uno spiraglio alla fraternità in questa situazione? Mi ricordai del nostro detto: "canta che ti passa". Iniziai così a canticchiare una canzoncina africana di cui conoscevo a stento il significato. Di lì a poco, tutta la colonna si mise a cantarla. Gli stessi guerriglieri me la cantavano nei momenti più difficili».

Arrivato a destinazione, il 5 febbraio 1985, per padre Bortolami inizia la lunga prigionia, sempre con l'enorme incognita di come sarebbe andata a finire. Sotto il rigido controllo della guerriglia, riesce a far partire un gruppetto di catechismo, attorno alla chiesa di Maria Madre di Dio, che sorge nella base militare. Il tempo passa e quando, nel 1992, viene liberato anche sulla base di accordi internazionali, al religioso si accosta un guerrigliero che gli rivolge queste parole: «Adesso che succede, ci lasci soli?». La scintilla della fraternità era scoccata.

«Oggi viviamo in un contesto di pace - conclude padre Gabriele - ma il messaggio rimane limpido: siamo in Angola per vivere la fraternità, per perdonare con misericordia e abbracciare tutti, senza distinzione di religione, cultura, etnia e ideologia».

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