Rifugiato a casa mia. Anche a Padova il nuovo progetto Caritas

È partito anche in diocesi di Padova il progetto promosso da Caritas italiana per attivare un’accoglienza sul territorio che ha come tratti distintivi il lavorare in rete e l’integrazione a 360 gradi. Al momento sono undici le persone accolte nel territorio diocesano.

Rifugiato a casa mia. Anche a Padova il nuovo progetto Caritas

È partito anche in diocesi di Padova il progetto “Protetto. Rifugiato a casa mia” promosso da Caritas italiana.
Da gennaio Caritas Padova si è attivata per promuovere un’accoglienza sul territorio che ha come tratti distintivi il lavorare in rete e l’integrazione a 360 gradi. Sono 12 le persone (tra giovani, bambini, donne e uomini) che per questo primo anno verranno ospitate, chi in famiglia, chi in comunità (religiosa o parrocchiale).
«Il progetto è nazionale – spiega Sara Ferrari, referente di Caritas diocesana – Caritas italiana ha chiesto disponibilità alle realtà diocesane e si sono già attivate più di mille famiglie».

L’accoglienza è completamente gratuita: chi apre le proprie porte a un profugo non riceve alcun compenso.
«L’obiettivo è far sperimentare all’ospite cosa vuol dire vivere in Italia da cittadino e offrirgli una possibilità di integrazione reale, attraverso anche l’attivarsi di una rete di rapporti sul territorio. L’impegno inoltre e l’attenzione è quella di far vivere alla famiglia o alle comunità l’ospitalità, l’apertura e lo scambio culturale e far capire che queste persone che scappano dal proprio paese sono “normali”: uomini donne e bambini che hanno bisogno di affetto e di relazione come tutti noi».

Il progetto nazionale rientra nella linea diocesana di Caritas Padova per la specifica attenzione al lavorare con il territorio e al far rete.
«Attraverso la figura di un’operatrice – sottolinea Ferrari – stabiliamo rapporti con le parrocchie e le famiglie. Insieme creiamo legami e facciamo crescere e sperimentare una normalità fatta di comunione e sostegno».

Ciascun ospite, a oggi sono 11 le persone accolte, può fermarsi per un anno nella famiglia o comunità.
«Nel periodo di permanenza – spiega Silvia Bertolo, l’operatrice referente a livello diocesano – si cerca di aiutare l’ospite a rendersi autonomo, inserendolo in un contesto sociale di relazioni, favorendo l’apprendimento della lingua, avvicinandolo al mondo del lavoro, perché possa pensare a costruirsi un futuro».

Attualmente il vicariato di Monselice ospita tre famiglie, grazie a un lascito testamentario consistente che ha permesso di accoglierle in due appartamenti diversi presi in affitto: in uno, a Monselice, vivono una mamma etiope col bambino di 9 anni, e una mamma venezuelana con i suoi due figli di 9 e 17; nell’altro una famiglia nigeriana, composta da mamma, papà e due bambini sotto i 3 anni.
A Campodarsego una giovane coppia con due bambini piccoli ha accolto un ragazzo del Gambia.
«Colpisce sempre – sottolinea l’operatrice Caritas – la disponibilità e l’apertura delle persone. La cosa più difficile è l’accoglienza in casa propria, ma si sta attuando anche questa con grande serenità. Vediamo come anche all’interno del gruppo di volontari che sostiene la famiglia e la comunità in questo progetto, la conoscenza crea relazione e cambia la prospettiva: la persona diventa un nome e una storia e il percorso che si sta facendo è positivo per tutti. Il nostro lavoro come Caritas diocesana è di incontrare, supportare e sostenere ospiti e “ospitanti” nei diversi aspetti, da quelli più burocratici a quelli più relazionali».

«Spesso ci dicono: “È arrivato dal barcone!” – aggiunge Ferrari – Quello che si vede e di cui si sente parlare è davvero reale: con questo progetto si avvicinano le persone a realtà che appaiono sempre lontane. L’altro giorno il ragazzo gambese, che sa pochissimo l’italiano, ci ha salutato da casa urlandoci un “Sono felice!”. Credo che altre parole non vadano aggiunte».
Se non un dato ulteriore: la comunità di Campodarsego sta aiutando anche due ragazzi italiani in situazioni di grave disagio e un detenuto con problemi di salute.

Valentino e Silvia, con i loro figli, hanno accolto Chorno: «Ci stiamo conoscendo a vicenda»
Dalla domenica delle Palme, Valentino e Silvia Chiarello di Campodarsego, e i due figli, di 3 e 5 anni, ospitano Chorno, un ragazzo diciannovenne del Gambia.
«Le notizie quotidiane di tante morti in mare ci hanno davvero messo in crisi – raccontano – e portato a chiederci cosa potevamo fare come famiglia. Ne abbiamo parlato con don Leopoldo Voltan, il nostro parroco, che ci ha messo in contatto con la Caritas diocesana». È nata così la prospettiva dell’accoglienza. «Ne abbiamo parlato in consiglio pastorale perché avevamo la necessità fosse un progetto condiviso, certi che servisse una rete per fare integrare il nostro ospite».
E così è stato: la comunità parrocchiale si sta mobilitando per Chorno, in primis nell’insegnamento dell’italiano e nel tentativo di trovare dei lavoretti, perché possa acquisire qualche competenza e sentirsi impegnato durante la giornata.
«Per la nostra famiglia è davvero una bella esperienza! Abbiamo un ospite sempre presente che sta diventando uno di famiglia! Tanta la gente disponibile che ci sta aiutando. E questo è importante: sentiamo che non c’è indifferenza, ma tanta buona volontà da parte di tutta la comunità e anche di amici che non sono della parrocchia».

I bambini hanno accolto il ragazzo come un fratello maggiore.
«E lui è davvero educato e attento. Molto rispettoso. Si impegna tanto nello studio e anche nel calcio che ama molto. È arrivato timido: guardava per terra con grande paura di sbagliare. Adesso si sforza di parlare e si sente a casa sua. Quando imparerà l’italiano ci ha promesso che racconterà tutta la sua storia: i passaggi da un paese all’altro, il viaggio in barcone, i tre anni per arrivare in Italia! Musulmano, i primi giorni non pregava e noi glielo abbiamo fatto notare: lui credeva non si potesse... Oggi impariamo anche dal suo pregare: ci stiamo conoscendo a vicenda!».

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