Il formaggio è più buono, se è artigiano

Il mercato del formaggio veneto di qualità tira e le vendite crescono, anche all’estero. Ma non è tutto oro quello che luccica: il prezzo del latte varia di anno in anno e la burocrazia non aiuta i “piccoli”. Crescono però gli allevatori diventati “casari”.

Il formaggio è più buono, se è artigiano

Sono ormai pochi, ma resistono in Veneto, che della produzione di formaggio ha fatto una bandiera di cui va fiero: sono i “casari” artigianali, quelle piccole aziende che ancora oggi producono formaggi che tutto il mondo ci invidia. Un sapere artigiano che nasce da secoli di esperienze tramandate dalle varie generazioni, dall’attenzione ai particolari, dalla qualità delle materie prime. Tutte cose che fanno il sapore, ma non un basso prezzo... E se poi la legislazione e la burocrazia non aiutano, le difficoltà crescono.

«I nostri politici si fanno belli nel vantare il made in Italy e la qualità dei prodotti italiani, ma poi noi ci troviamo a lottare con i soliti problemi. Anche quest’anno ho sentito molti proclami, ma nel concreto sono aumentati gli indici degli studi di settore e come Irap paghiamo uguale se non di più» spiega Renzo Bettiol, presidente regionale dei casari di Confartigianato imprese Veneto, titolare del Caseificio di Roncade.
Eppure i caseifici resistono? 
«Tutto sommato la situazione per i caseifici non è male perché il mercato in questo momento tira. Il vero problema è la concorrenza: quella del latte che arriva dall’estero a prezzi bassi e che mette in ginocchio le aziende agricole, e quelle dei formaggi stranieri. Quali sono i prodotti che creano problemi? Quelli che copiano i nostri, la gente non è in grado di distinguerli, guarda il prezzo e non sa che vengono da altri paesi e che non c’è paragone con i nostri in termini di qualità, ma anche di sapore».
Qualità è una parola alla quale spesso l’Italia si rifà, quasi come fosse l’ultimo baluardo di difesa...
«Sì, perché è la qualità quella che ci salva. Dobbiamo ringraziare il controllo che fa l’organo sanitario perché garantisce che realmente i nostri prodotti sono sani e genuini, non creano danni alla salute e, in sintesi, sono salubri. Da me sono venuti dall’Ulss anche due settimane fa a prelevare i campioni di siero: va benissimo, non mi fanno paura i controlli. A patto però che li facciano anche sui prodotti che arrivano dall’estero».
Tutto però parte dal latte. Conviene quello estero?
«Purtroppo le stalle nostrane continuano a chiudere, con questi prezzi gli allevatori riescono a malapena a sopravvivere. Chi non chiude è perché trova comunque una fonte di reddito costante e di liquidità, ma non certo per le soddisfazioni economiche. I prezzi bassi però aiutano noi casari, se aumentano chiudiamo noi. È un cane che si morde la coda. Due anni fa il prezzo era salito e tutti i caseifici artigianali hanno chiuso in perdita. Adesso è sceso di nuovo. Un tempo i caseifici andavano di stalla in stalla a prendere il latte, oggi non lo si fa quasi più e molti acquistano lontano dove costa meno. Quando vedo caseifici che vendono a un paio di euro al chilo meno di noi non posso non insospettirmi».
Essere piccoli conviene?
«In Italia c’è un problema di fondo: si applicano ai caseifici artigiani le stesse regole che vanno bene per l’industria. Ma ciò che è giustificato per i grossi non è sostenibile per le aziende piccole. Su certe regole di produzione si potrebbe soprassedere senza venire meno alla sicurezza. Penso alla questione della tracciabilità: in un’industria ogni fase è seguita da personale diverso magari in luoghi diversi, ma in una piccola realtà artigiana una sola persona segue tutto il processo. Teniamo conto che se poi qualcosa non va, l’artigiano risponde di persona del prodotto che vende: quindi è costretto a lavorare bene. Nell’industria invece le responsabilità si possono rimpallare».
Nonostante tutto, i formaggi italiani si vendono?
«Per fortuna il mercato tira ma a salvarci è l’estero. Quest’anno, ad esempio, noi abbiamo lavorato bene con la Svizzera e l’India. Per ora è l’estero che sta aiutando l’economia italiana più che le scelte del governo. Assieme alla serietà e alla voglia degli imprenditori di continuare nonostante tutto a fare imprenditoria. Non è tutto rose e fiori: dipende dalle annate. Nel 2015 le spiagge venete hanno lavorato molto e noi con loro, l’anno scorso invece no».
Molti contadini in questi anni si sono trasformati in casari. Che ne pensa?
«È vero, più di qualcuno che aveva le stalle ha investito e ha affiancato all’attività di allevatore anche un caseificio. La regione stessa ha dato questa possibilità e incentivato questo tipo di investimenti. Io resto dell’idea che di caseifici ce ne sono già tanti e sarebbe meglio investire su quelli, in modo che chi ha il latte da vendere trovi uno sbocco. Ognuno deve fare il proprio lavoro altrimenti rischia di fare un doppio fallimento».
Perché? Alcuni funzionano...
«Perché seguire una stalla è complesso e seguire il caseificio altrettanto: molti hanno fatto questo passo ma è diventato un problema di gestione, si trovano ancora più regole da seguire e mancano delle giuste tecnologie. Alcuni hanno risolto producendo e vendendo al dettaglio: ma se non vendono abbastanza? Ecco che si sposta il problema senza averlo risolto. Se non riescono a vendere abbastanza formaggio si trovano ad avere in casa grandi quantità di latte di cui non sanno più cosa fare. Se provano a rivenderlo ai caseifici questi preferiscono non acquistarlo da chi è divenuto un concorrente, oppure lo prendono ma a prezzi ancora più bassi».
Torniamo ai formaggi: quali si vendono meglio?
«Nella nostra zona va benissimo la casatella, che però è ancora poco conosciuta all’estero e anche in Italia ha ancora molto margine di crescita. Il Consorzio di tutela lavora bene ma gli obiettivi non sono ancora stati raggiunti. Eppure è un prodotto eccellente, ha ottenuto molti riconoscimenti e tutti ce lo invidiano. Il mio caseificio rifornisce di casatella ogni quindici giorni due ristoranti e un panificio di Berlino, ad esempio».
E tra gli altri prodotti?
«Vanno molto le caciotte speziate, noi ne facciamo anche con il tartufo. Certo, se prima un consumatore ne prendeva grandi quantità, oggi la tendenza è quella di acquistare sono quanto serve per il breve periodo. Per restare sul mercato bisogna essere pronti a rinnovarsi e essere attenti alle richieste. Quello che tiene in piedi la nostra azienda, però, non sono tanto questi prodotti quanto la mozzarella per pizza che vendiamo ai locali della zona. Anche qui la concorrenza è spietata ma per fortuna anche nelle pizzerie c’è ancora chi lavora sulla qualità e chi, tra i consumatori, la sa apprezzare».

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