La vicenda dei preti padovani e l’anestesia della coscienza

La triste e ormai nota vicenda dei preti padovani di cui hanno parlato e continuano a parlare con dovizia di particolari le cronache dei giornali locali risveglia in me il ricordo di quando quei preti erano giovani studenti e seguivano con attenzione e interesse le mie lezioni di teologia morale.
Questo mi porta a interrogarmi sul perché di uno scarto così clamoroso e doloroso tra la teoria e la pratica, tra l’insegnamento e la vita, e dunque anche sulla scarsa rilevanza della teologia morale nella loro formazione sia umana che presbiterale.

La vicenda dei preti padovani e l’anestesia della coscienza

La triste e ormai nota vicenda dei preti padovani di cui hanno parlato e continuano a parlare con dovizia di particolari le cronache dei giornali locali risveglia in me il ricordo di quando quei preti erano giovani studenti e seguivano con attenzione e interesse le mie lezioni di teologia morale.
Questo mi porta a interrogarmi sul perché di uno scarto così clamoroso e doloroso tra la teoria e la pratica, tra l’insegnamento e la vita, e dunque anche sulla scarsa rilevanza della teologia morale nella loro formazione sia umana che presbiterale.

La spiegazione che almeno finora mi son data chiama in causa da una parte la dottrina della coscienza, dall’altra l’incidenza di una certa cultura molto diffusa, in parte sessista, in parte ancora maschilista, nella formazione della loro coscienza.
Nel discorso comune il termine coscienza indica il giudizio soggettivo che ciascuno dà al proprio agire, la valutazione quasi spontanea che sgorga da noi stessi di fronte alle scelte quotidiane. Coscienza in questo senso equivale più o meno a spontaneità, immediatezza, sincerità di sentimenti.
Quando “si sente dentro” la spinta a un certo comportamento si ha come la garanzia di agire bene. Il problema è che questa spontaneità non viene il più delle volte dalle radici profonde della persona, ma quasi sempre da ciò che la cultura deposita nella coscienza e presenta via via come giusto e buono, corrispondente alla dignità della persona.
Ciò che viceversa la offende, è la voce di un certo costume, di una certa prassi non rispettosa a volte della dignità delle donne, altre volte purtroppo anche dei bambini, e di ciò che queste persone sono e rappresentano nella vita di un uomo e dunque anche di un prete.

La coscienza diventa allora la eco di questa voce, la ripetizione in chiave soggettiva e interiore di quanto viene suggerito o gridato da varie agenzie attraverso slogan o informazioni più o meno interessate e parziali. Invece di essere la voce critica che legge e giudica il nostro agire, la coscienza diventa una pedissequa approvazione di ciò che viene scelto in base a conformismi anonimi e consolidati. Invece di agire come si pensa si finisce per pensare come si agisce. La coscienza non è più la guida della persona, ma viene a rimorchio di un costume, di una prassi, che giustifica e accetta tutto e il contrario di tutto in nome di una strana idea di libertà che sarebbe più corretto definire indifferenza, insensibilità a certi valori.

Di fronte a uno spettacolo così poco consolante c’è una sola via di uscita, un solo modo di intendere la coscienza ed è l’antica ricerca di valori universali e oggettivi che non nascono dal capriccio di qualcuno, né dalle mode che si susseguono nel tempo, ma dalla natura stessa della persona.
È questo il punto oggi più scomodo e più lontano dalla mentalità comune: ipotizzare una “natura” della persona, qualcosa che precede ogni persona e la rende tale, qualcosa che la persona si trova a essere, che non inventa ma scopre in se stessa, qualcosa che le viene data come un dono e come responsabilità. Contro ogni forma di integralismo religioso o ideologico non si può non ammettere una realtà trascendente, un progetto di umanità, al quale ciascuno è chiamato a conformarsi se vuole realizzare se stesso nel modo più autentico e rispondente alla dignità di ogni persona.

Se poi esiste una fede religiosa che vede nella dignità della persona una somiglianza con Dio, è ancora più chiaro che la coscienza sarà nient’altro che la lettura del progetto salvifico di Dio.
E se in più si crede che Dio stesso, il creatore, ha voluto diventare umano, rivelare all’umanità la sua vera realtà, se si accetta che in Gesù si è rivelato chi è Dio per noi, la coscienza sarà la capacità di leggere e discernere alla luce della parola di Dio e del messaggio evangelico ciò che di volta in volta molto concretamente rispetta oppure offende la dignità dell’uomo o della donna a partire dalla loro relazione più intima e profonda, la sessualità, che li coinvolge, ma al tempo stesso li chiama alla responsabilità, a verificare se gli atteggiamenti e i comportamenti che assumiamo corrispondono o meno alla dignità e al rispetto che dobbiamo a ogni persona che incontriamo nella nostra vita.

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Parole chiave: preti (43), Padova (503), Don Contin (3)