Se non ripartono le nascite, il futuro dell'Italia è segnato

Saremo di meno in Italia tra 50 anni probabilmente. A eccezione di grandi sconvolgimenti sarà più facile incontrare degli italiani anziani, piuttosto che bambini. Il Sud dello stivale sarà meno abitato del Centro e del Nord e forse si potrà incontrare qualche cittadino straniero in più. La composizione demografica è importante perché fornisce una base su cui si costruisce una società.
Sono dunque di forte interesse le previsioni Istat su “Il futuro demografico del Paese” che stimano l’andamento della popolazione e della sua morfologia da oggi al 2065.

Se non ripartono le nascite, il futuro dell'Italia è segnato

Saremo di meno in Italia tra 50 anni probabilmente.
A eccezione di grandi sconvolgimenti sarà più facile incontrare degli italiani anziani, piuttosto che bambini. Il Sud dello stivale sarà meno abitato del Centro e del Nord e forse si potrà incontrare qualche cittadino straniero in più. La composizione demografica è importante perché fornisce una base su cui si costruisce una società.

Sono dunque di forte interesse le previsioni Istat su “Il futuro demografico del Paese” che stimano l’andamento della popolazione e della sua morfologia da oggi al 2065.
Si offrono degli scenari possibili a partire dall’esame di quel che è accaduto finora.

La prima indicazione è l’alta probabilità di una diminuzione della popolazione che dagli oltre 60 milioni di persone del 2016 passerà da un minimo di 46,1 milioni a un massimo di 61,5. Una forchetta ampia, ma i ricercatori osservano che lo scenario che presenta la prospettiva di crescere non supera il 7 per cento delle probabilità. Non sarà impossibile ma parecchio difficile.

Secondo l’ipotesi più equilibrata ci sarà un Centro Nord attrattivo che nei prossimi cinque decenni ospiterà al 71 per cento della popolazione, mentre nel Mezzogiorno risiederà il rimanente 29 per cento. Dovrebbe proseguire quindi l’esodo dal Sud a indicare che un moto inerziale non colmerà una delle fragilità strutturali del nostro paese.

Continuerà a crescere la prospettiva di vita che arriverà nel nostro paese agli 86 anni per gli uomini e ai 90 per le donne.
La grande quota di anziani inciderà sull’innalzamento dell’età media che oggi arriva a 44,7 anni e nel 2065 supererà i 50. È triste rilevare che sull’andamento delle età inciderà relativamente poco il tasso di fecondità, perché il numero dei giovani oggi è già in proporzione basso rispetto al resto della popolazione. Si legge nella rilevazione che «l’intervallo di confidenza proiettato per la fecondità è oggettivamente alto, tra 1,25 e 1,93 figli per donna entro il 2065. Esso, cioè, oscilla tra una visione di fecondità stabilmente più bassa di quella odierna e una che tende quasi al livello di sostituzione delle generazioni».

Tuttavia la prospettiva rimane aperta, perché la possibilità di un aumento del tasso di fecondità – se a livello demografico ormai non produrrà effetti significativi nel medio termine – inciderà comunque per la popolazione di domani.
Gli studi demografici mostrano delle indicazioni sui flussi nel futuro della popolazione che procedono in modo inerziale.

Proprio la dichiarazione di imprevedibilità sui tassi di fecondità ci mostra l’apertura del futuro. Ci sono infatti fattori culturali e fattori politici che incideranno. I fattori culturali dipendono dalle abitudini e dagli stili di vita, i fattori politici dalla capacità di governare i bisogni della popolazione. Gli scenari servono proprio a osservare per prendere un indirizzo. Perché la Storia si scrive a partire dalle decisioni concrete delle comunità, come le biografie personali si colorano delle scelte di ognuno di noi.

Andrea Casavecchia

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Parole chiave: istat (60), anziani (187), natalità (10), invecchiamento (17), fecondità (3), denatalità (9)
Fonte: Sir