Ong e salvataggi in mare. Il Codice rischia di trasformarsi in un pasticcio

Dura nota di commento dell'Asgi (Associazione studi giuridici sull'immigrazione): la mancata sottoscrizione non può avere alcuna conseguenza giuridica, non sarà legittima alcuna reazione del governo nei confronti delle Ong non firmatarie. E sull'ipotesi della chiusura dei porti: comporterebbe una violazione del diritto internazionale. Chi ha firmato e chi no tra le Ong impegnate nel Mediterraneo.

Ong e salvataggi in mare. Il Codice rischia di trasformarsi in un pasticcio

Il codice di condotta per le Ong che salvano i migranti nel Mediterraneo non è una legge.
La "minaccia" del ministero degli Interni verso le organizzazioni che non l'hanno sottoscritto "è una bolla di sapone".
Per l'Associazione studi giuridici sull'immigrazione, composta da avvocati e giuristi da tempo in prima linea nella difesa della legalità e dei diritti dei migranti (anche attraverso ricorsi nei tribunali, spesso vinti), il Codice "non è un atto avente valore di legge, né una disposizione regolamentare, emanata in attuazione di una norma primaria, e per di più si rivolge ad una pluralità di soggetti non gerarchicamente collegati con la pubblica amministrazione”, si legge in una nota.

Si tratta in sostanza, di una proposta di accordo, che, come tale, necessita quel coinvolgimento paritario delle parti che invece è clamorosamente mancato. La mancata sottoscrizione, perciò, non può avere alcuna conseguenza giuridica: non sarà legittima alcuna reazione del governo nei confronti delle Ong non firmatarie se non nei casi e nei limiti già sanciti dalle norme nazionali e internazionali.

Chiudere i porti italiani alle navi?

Sia il ministero dell'Interno che la Commissione dell'Unione europea hanno sottolineato che potrebbero chiudere i porti alle navi delle Ong che non hanno firmato il codice di condotta.

"In realtà questa minaccia rischia di trasformarsi in una bolla di sapone – spiega Cesare Pitea, docente di diritto internazionale all'Università di Parma e membro di Asgi – Il motivo è semplice: ci sono norme internazionali che vietano la chiusura dei porti a navi che hanno a bordo persone bisognose d'aiuto. Inoltre, mai l'Italia potrà rifiutare l'approdo di una nave con bandiera italiana".

Non solo.
Per Asgi "è eticamente inaccettabile che il Ministero dell'Interno, abbia oscuramente prospettato gravi conseguenze nei confronti di quelle organizzazioni, tra le quali figura Msf, Premio Nobel per la Pace, che non hanno sottoscritto il cosiddetto codice di condotta. Va ricordato che è illegittimo e può costituire grave violazione di legge anche penale impedire l'accesso ai porti da parte di una imbarcazione che trasporta persone soccorse in mare che hanno bisogno di supporto immediato legato alle esigenze primarie per la sopravvivenza e/o la tutela del diritto all'integrità psico-fisico".

La questione del codice di condotta rischia dunque di trasformarsi in un pasticcio giuridico internazionale. 

"La navigazione in alto mare è libera – aggiunge Pitea – Ogni capitano ha obbligo di fare salvataggio e segnalare la cosa alle autorità competenti che dovranno accogliere i profughi". Non c'è codice che tenga, insomma, di fronte al naufragio di una barca, che sia carica di migranti come di turisti.

Nella nota l'Asgi, tra l'altro, sottolinea come in realtà buona parte del codice di condotta ricalchi prassi operative che sia le Ong che le autorità italiane già applicano da tempo.
"Se si fosse voluto ulteriormente rinforzare dette prassi operative, allo scopo di migliorarle, sarebbe stato necessario attivare un effettivo confronto con le associazioni umanitarie. Confronto che invece è mancato. Anzi, le stesse Ong, che pure meritoriamente suppliscono in larga parte alle carenze del sistema pubblico dei soccorsi, sono state oggetto di un'incredibile campagna di discredito. Il cosiddetto codice di condotta è stato presentato ai mezzi di informazione come una sorta di atto normativo, seppure alquanto atipico, tramite il quale il Governo intende disciplinare l’attività del soccorso in mare, in corso da anni sotto il coordinamento delle autorità legittimamente preposte, eppure oggi viene presentata come se fosse avvenuta in modo del tutto disordinato e improprio".

Sono due i punti per i quali alcune delle Ong hanno deciso di non sottoscrivere il codice di condotta.
"Occorre evidenziare che in buona parte le motivazioni addotte dalle Ong risultano ampiamente ragionevoli e condivisibili; in particolare il rifiuto della richiesta di non effettuare trasbordi da una nave all'altra (anche quando ciò è necessario per salvare vite umane durante la concreta operazione di soccorso) è del tutto doveroso e pienamente conforme agli obblighi imposti dalle norme sul soccorso. Parimenti la contestata opposizione alla richiesta di consentire sempre e in ogni caso la presenza a bordo del personale di polizia è del tutto comprensibile e giustificabile proprio in quanto l'attività di soccorso umanitario deve potersi svolgere in condizioni di piena autonomia, non essendo per nulla in contrasto con il vincolo della piena collaborazione, attiva ed indiscussa da anni, con le autorità investigative per l'individuazione dei trafficanti".

Infine, Asgi esprime "apprezzamento per l'operato eccezionale delle Ong e della Guardia Costiera italiana nel condurre le operazioni di salvataggio in mare e invita fermamente il Governo italiano a rivedere in maniera profonda l'attuale linea politica, tanto inconsistente sul piano della legittimità, quanto pericolosa nel creare smarrimento nell'opinione pubblica e nel minare l'efficacia delle attività di soccorso".

Chi ha firmato e chi no

Medici senza frontiere, che nei giorni scorsi aveva diffuso un documento in cui elencava i punti critici, non ha accolto il documento del Viminale e ha inviato subito dopo l'incontro una lettera al ministro dell'Interno per spiegare le proprie posizioni.

“Per noi – sottolinea Gabriele Eminente direttore generale di Medici senza frontiere – è difficile firmare un codice che prevede la possibilità di portare armi a bordo, questo non è un segreto per nessuno, ma una policy di cui Msf si avvale in tutti i paesi in cui opera. È così in Afghanistan e nella Repubblica centroafricana, è così su una nave da soccorso”.

Dello stesso parere la ong Jugend Rettet Iuventa, mentre Save the children ha firmato il Codice di condotta perché, come spiega il Direttore generale Velerio Neri, “gran parte delle cose che il Codice prevede, già le facciamo da sempre. Nella sostanza non cambia nulla. Inoltre laddove c’erano degli articoli che ci preoccupavano, come nel caso dei trasbordi, abbiamo risolto bene e seguiremo le indicazioni della Guardia costiera”.

Parere favorevole anche di Moas. “La nostra missione è da sempre quella di salvare più vite possibili in mare, e questo documento ci permette di continuare a farlo – spiega il fondatore Christopher Catrambone – La priorità per Moas è dal 2014 quella di impedire inutili morti in mare, e se firmare il Codice di Condotta rappresenta l’unica via legale per permetterci di perseguire questo obiettivo, allora Moas non può e non deve tirarsi indietro”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)