Il Camposampierese vuole tornare a corrrere. Ecco Camp 2020

La Federazione, modello di integrazione tra enti locali non solo nel Veneto, dopo la povertà e la fortuna, sta conoscendo in questa fase economica e sociale il declino. Le idee su ciò che vuole essere nel futuroa medio termine però nonmancano e stanno tutte nel progetto Camp 2020. Ma forse la vera svolta arriverà solo quando questo agglomerato da 100 mila abitanti e 12 mila imprese diventerà una sola città...

Il Camposampierese vuole tornare a corrrere. Ecco Camp 2020

A un certo punto del ragionamento, l’affermazione scivola quasi mimetizzata tra le parole: «Forse la vera svolta, la sterzata decisiva, potrebbe arrivare soltanto se decidessimo di trasformare questo territorio in una città di 100 mila abitanti».

Luciano Gallo è il direttore della Federazione che raccoglie undici comuni del Camposampierese; un’esperienza di collaborazione tra municipi (non soltanto politica ma anche operativa) forte e ormai solida, portata a modello; la più consistente per storia e presente tra quelle non soltanto regionali. È stato chiamato da Confesercenti, alla presenza dell’assessore regionale Roberto Marcato e dei sindaci, a ragionare sui prossimi dieci anni, su che cosa vuole diventare questa porzione dell’Alta padovana, su una progettualità ormai definita scrupolosamente, nei minimi particolari; in cui si coniugano visioni del futuro, scelte strategiche, prassi amministrative, possibilità di reperire finanziamenti.

Un lavoro che è già stato lungo, che ha coinvolto praticamente tutti (150 gli interlocutori privilegiati) e che ora è codificato, nero su bianco; si chiama Camp 2020 e disegna quello che il Camposampiero vorrà diventare. Il punto di partenza, anche nell’analisi di Gallo, non può che essere ciò che questa terra è stata, partendo dalla povertà stringente e generalizzata di qualche decennio or sono, passando per la grande fortuna che ne ha fatto seguito («grazie ad una classe dirigente abile e intelligente»), fino a arrivare all’oggi, tempo in cui il Camposampierese può essere interpretato con un unico termine: declino.

Eppure questo è un ambito dalle potenzialità straordinarie: circa 100 mila abitanti, cioè un’aggregato “metropolitano” di medie dimensioni, 12 mila imprese, soprattutto piccole con spiccata vocazione al terziario, 37 mila addetti, reddito pro capite oltre i 16 mila euro annui; praticamente un’impresa ogni 8,7 cittadini, una media pazzesca. Un tessuto che però appare sfilacciato, numericamente robusto ma qualitativamente povero, impallato, che non cresce, basta guardare i dati demografici.

Il direttore usa una formula: M+CP, che è un suggestivo acronimo di una frase che indica una volontà puntigliosa: “mai più come prima”; perché tutto è cambiato e non restano che due alternative: o continuare a declinare o generare. Quelli di Camposampiero hanno deciso di scegliere la seconda ipotesi, all’insegna di uno sviluppo riassumibile in tre aggettivi, che tra l’altro sono perfettamente in linea con le indicazioni europee: crescita, dunque, ma intelligente, sostenibile, inclusiva.

Che vuol dire praticamente lavorare in maniera forsennata sui temi della scuola e della formazione, dell’ambiente, dell’energia, ma anche del lavoro, della sicurezza locale. Queste le buone intenzioni, che vanno coniugate con un metodo ancora una volta riscontrabile in un terzetto di termini chiave: condivisione, visione, trasformazione.

Il primo indica senza equivoci un modo di fare, nel quale devono ritrovarsi tutti i protagonisti locali, dai municipi agli imprenditori (e le loro associazioni), ai sindacati, a quelli del terzo settore. Il secondo, che precisa senza alibi la necessità di trovare un senso all’agire, impone di non proseguire a casaccio, ma piuttosto di avere chiaro e definito un progetto e una meta. La trasformazione poi implica la necessaria disponibilità al cambiamento creativo.

Se poi si va ulteriormente al concreto, chiedendosi, ad esempio, se tutto questo sarà anche motore di sviluppo economico, se creerà lavoro, la Federazione non ha dubbi: i posti non potranno certo arrivare dal settore pubblico (sempre più povero), neppure dai grandi capitali industriali (ormai assenti o al massimo “predatori” nei confronti del territorio) ma sarà frutto della virtuosa economia civile, delle piccole imprese del terziario, dell’artigianato, dei servizi, delle imprese strettamente legate al territorio e che si basano essenzialmente sulla valorizzazione e i frutti del capitale sociale più che di quello finanziario.

Insomma, secondo Luciano Gallo, ma più in generale del Camposampierese raggruppato nella Federazione, ci sono quattro processi da avviare e consolidare: dall’io al noi, la valorizzazione dell’economia locale, un nuovo rapporto con “madre terra”, la fiducia nelle istituzioni locali. Fino a qui le buone intenzioni, la filosofia dell’agire futuro, la vision dei prossimi dieci anni.

Ma Camp 2020 è di più; è anche concretezza di scelte, che si articolano in quattro grandi aree operative: la città impresa (fare economia in modo sostenibile), la città nel giardino (il tema dell’ambiente, del paesaggio, del turismo), la città dei campanili (distribuita e collaborativa), la città delle opportunità per tutti (anche ripensando il welfare). Per ognuna di queste piste di lavoro sono già state individuate molte linee concrete, risorse, coperture finanziarie. In questo modo, almeno nelle intenzioni, il Camposampierese diventerà ancora territorio vivo e in crescita, uno spazio urbano, nel migliore dei termini. Anche se parlare di città forse è ancora prematuro; ma quasi sempre il nuovo nasce senza la consapevolezza di tutti: anche i visionari talora hanno ragione. 

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