Qualsiasi cosa, pur di lavorare. Un giovane su due pronto ad adattarsi, ma l'Italia non sa valorizzarli

I dati del rapporto promosso dall'Istituto Toniolo di Studi Superiori presentati al Meeting di Rimini: il 47% disponibile ad adattarsi. Rosina: giovani relegati ai margini, dipendenti a lungo dai genitori, con progetti professionali e di vita bloccati. I Neet sono oltre 2,2 milioni: più di ogni altro paese europeo.

Qualsiasi cosa, pur di lavorare. Un giovane su due pronto ad adattarsi, ma l'Italia non sa valorizzarli

Aumenta tra i giovani la disponibilità ad adattarsi al lavoro (47%) e a cercare di vedere positivamente la propria vita.
Gli italiani, tra i 18 e i 32 anni, ai quali è stato chiesto di valutare con un voto da 1 a 5 il senso di soddisfazione sulla propria vita raggiungono in media un valore pari a 4,3, mentre l'autorealizzazione viene messa in secondo piano rispetto al reddito, soprattutto nelle classi sociali medio basse.
A rivelarlo è il "Rapporto Giovani" - promosso dall''Istituto Toniolo di Studi Superiori con il sostengo di Intesa Sanpaolo e Fondazione Cariplo - presentato al Meeting di Rimini da uno dei suoi curatori, Alessandro Rosina, docente di demografia all'università Cattolica del Sacro Cuore.

Dalla rilevazione, effettuata a ottobre 2015 su un campione di 9.358 persone, rappresentativo della popolazione italiana di età compresa fra i 18 e 32 anni, emerge inoltre che l'elevata percentuale di Neet (valore assoluto superiore ai 2 milioni e 200 mila, il più elevato in Europa) "non compromette solo le vite lavorative dei giovani ma costituisce un enorme macigno" su sostenibilità sociale, dinamiche demografiche e sviluppo economico dell'intero Paese.

In Italia, spiega Rosini, "già prima della crisi economica il tasso di occupazione giovanile risultava essere uno dei più bassi in Europa. L'Italia è uno dei Paesi avanzati che con l'entrata in questo secolo meno si sono rivelati capaci di dotare i giovani di strumenti adatti per essere attivi e intraprendenti nel mondo del lavoro".
Di conseguenza i giovani, "anziché essere protagonisti positivi di processi di innovazione e inclusione che rendono più competitiva l'economia e più solida la società, si trovano relegati ai margini, dipendenti a lungo dai genitori, con progetti professionali e di vita bloccati".
Eppure, conclude Rosina, "non sono rinunciatari" ma "hanno in partenza progetti di vita importanti".

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)