La nuova Via della seta cambierà il mondo

OBOR (One Belt, One Road)combina il corridoio ferroviario tra Cina, Asia centrale, Russia ed Europa e quello marittimo che dal Mar Cinese Meridionale approderà all’Oceano Indiano e al Sud del Pacifico. Potenzialmente, l’annichilimento del “Corridoio 5” su cui virtualmente si affanna Bruxelles da decenni: OBOR connette, sulla carta, il 55 per cento del Pil mondiale, il 70 per cento della popolazione e il 75 delle “miniere energetiche”.

La nuova Via della seta cambierà il mondo

La Cina non è più solo… vicina, ma addirittura oltre la “pianificazione” di Ue, Usa e Africa.
A Pechino hanno già progettato la post-moderna “Via della seta” per terra e per mare, con un’ambiziosa “integrazione” dello scenario internazionale, per via commerciale e finanziaria.

OBOR (One Belt, One Road) combina il corridoio ferroviario tra Cina, Asia centrale, Russia ed Europa e quello marittimo che dal Mar Cinese Meridionale approderà all’Oceano Indiano e al Sud del Pacifico. Potenzialmente, l’annichilimento del “Corridoio 5” su cui virtualmente si affanna Bruxelles da decenni: OBOR connette, sulla carta, il 55 per cento del Pil mondiale, il 70 per cento della popolazione e il 75 delle “miniere energetiche”.

È davvero il Grande Balzo della Cina che conta di diventare “leader internazionale dell’innovazione” entro il 2030 e “il fulcro mondiale” della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica entro il 2060.
E la regione autonoma uighura del Xinjiang, nella Cina nord-occidentale, sarà l’area strategica, la chiave del trasporto, del commercio e della logistica ispirate da OBOR, che secondo gli esperti “vale” dodici volte il piano Marshall degli Usa alla fine della seconda guerra mondiale.

«La nuova Via della Seta – spiega il giornalista Simone Pieranni, attento osservatore della realtà cinese – è un progetto, non un trattato: toccherà almeno 60 paesi che producono un terzo del Pil mondiale e coinvolgerà 4 miliardi di persone. Dall’Asia, al Sud Est asiatico al Medio Oriente, fino all’Africa e all’Europa, il disegno cinese è molto semplice, benché sofisticato: accordi bilaterali o tra più paesi, investimenti in infrastrutture e sfogo al gigantesco surplus del mercato manifatturiero cinese. Non solo, perché da tempo la Cina punta sull’innovazione e su questo investe anche all’estero. Il progetto quindi è – teoricamente – a disposizione di tutti, perfino degli Usa. La Cina ha anche creato strumenti finanziari ad hoc: il New silk road fund e l’Asian infrastructure investment bank (Aiib) a cui hanno aderito molti paesi occidentali».

Insieme alle due banche citate, c’è la New development bank fondata dalla Cina con Brasile, Russia, India e Sud Africa: complessivamente, un plafond da 240 miliardi di dollari.
Ma il governo di Pechino ha aggiunto altri 62 miliardi di investimenti in infrastrutture e China Construction Bank ha investito altri 40 miliardi l’anno da quando è stato lanciato il progetto più 22 miliardi stanziati a favore della “Via della Seta marittima” in Asia.
Giusto per avere un metro di paragone, nel 2015 il brillante successo dell’export tedesco verso Pechino ammontava a 71,9 miliardi di euro con l’Italia assestata a 10,4 miliardi.

Con OBOR la Cina immagina sul serio di sovvertire ogni scenario, monopolizzare la logistica e diventare “la” potenza mondiale.
E anche il soft power dell’Istituto Confucio è già sintonizzato, come dimostra il convegno a Milano del 16 maggio scorso in cui è stato ribadito che «One Belt, One Road non solo collegherà i paesi europei alla Cina, ma sarà un mezzo attraverso il quale sarà possibile avvicinare a livello più profondo i popoli».

La realtà è molto meno idilliaca. Le rotte marittime di OBOR rappresentano l’alternativa agli stretti di Ormutz e Malacca, controllati da Usa e Nato. Il binario ferroviario è più che concorrenziale, visto che da tre anni la linea Chongqing-Duisburg trasferisce container in 13 giorni lungo 11.179 chilometri. Ma in cantiere c’è il Transeurasia Express in modo da collegare Pechino con Amburgo in 15 giorni…
Una contabilità impietosa. Nel 2015 il volume di scambi in Renminbi (la valuta cinese) con i paesi del progetto OBOR ha raggiunto il 20 per cento dei pagamenti totali. E gli investimenti dettati dalla Via della Seta rappresentavano il 13 per cento (quasi 19 miliardi di dollari) del totale delle operazioni dirette estere.

Al seminario internazionale del 26 settembre 2016 a Xi’an, il viceministro del commercio Fang Aiqin ha dichiarato che lo scambio commerciale con la “zona OBOR” aveva superato i 600 miliardi di dollari nel periodo gennaio-agosto, pari al 26 per cento del volume del commercio estero cinese.
E ancora: le compagnie cinesi avevano stabilito circa 50 zone di cooperazione nei paesi dell’OBOR, creando 900 milioni di dollari di gettito fiscale e circa 70 mila posti di lavoro. Forse, bisogna sul serio fare i conti con l’aggiornamento di Marco Polo in versione cinese mandarino…

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Parole chiave: via-della-seta (1), new-silk-road (1), cina (33)