28 maggio 1916: il vescovo e la chiesa padovana accanto ai profughi

La commemorazione che domenica 22 maggio ha aperto il lungo periodo di ricordi dell’avanzata austroungarica sull’Altopiano di Asiago, ha ricordato l’importante ruolo svolto dalla chiesa, dai parroci dell’Altopiano ma anche dalla struttura ecclesiale diocesana, nel pronto soccorso alle famiglie costrette ad abbandonare le loro case e scendere in pianura prive di ogni risorsa. Una mobilitazione decisa dal vescovo Pellizzo nel giro di pochi giorni, con una lettera indirizzata a tutti i parroci.
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28 maggio 1916: il vescovo e la chiesa padovana accanto ai profughi

Le cifre complessive parlano da sole: dal 15 al 18 maggio furono evacuati i paesi di Asiago, Rotzo e Roana, seguiti il 29 da quelli di Gallio, Foza e Lusiana.
Stessa sorte toccò in Valdastico alla gente di Arsiero, Velo, Laghi, Posina e poi Caltrano, Chiuppano, Cogollo. In tutto questo primo esodo coinvolse quasi 20 mila famiglie, 76.338 persone dei distretti di Schio, Asiago, Bassano e Thiene.

Attraverso le colonne della Difesa è possibile ricostruire, almeno in parte, quanto la chiesa padovana cercò di prodigarsi in aiuto di questa gente, che per buona parte le apparteneva, a partire dal tempestivo appello del vescovo Luigi Pellizzo, datato 22 maggio 1916.
Un appello che fu seguito, pochi giorni dopo, da accurate indicazioni rivolte, sempre dal vescovo, ai parroci della diocesi.
Era il 1° giugno e ancora non si sapeva che estensione avrebbe avuto l’invasione, tanto che il presule precisa: «Altri ancora hanno dovuto per le esigenze della guerra allontanarsi dai loro paesi, abbandonando ogni cosa: e forse ad altre parrocchie ancora è riservata la medesima sorte assai triste».
Mentre nella prima lettera aveva auspicato che il governo provvedesse a mantenere unite le famiglie in base al paese di provenienza, ora deve constatare che «dei nostri profughi, alcuni ebbero la ventura di essere raggruppati comune per comune e collocati nel Vicentino; altri invece furono mandati lontano assai, divisi e suddivisi in molte province e località diverse sicché è difficile talora nemmeno sapere dove sia la parte principale della dispersa parrocchia. Ed è questo che maggiormente affligge il mio cuore non meno di quello dei loro ottimi parroci e sacerdoti i quali trovansi nella impossibilità di seguirli e portar loro quei soccorsi materiali e morali di cui, appunto perché più lontani e più dispersi, hanno maggiormente bisogno».

Il vescovo Pellizzo fa proprie le prescrizioni di quello di Vicenza, praticando la quarta delle opere di misericordia corporale, “ospitare i pellegrini”.
Si prescrive che nelle parrocchie di accoglienza sia costituito un comitato per provvedere all’alloggio e alla migliore sistemazione delle famiglie, che i parroci dei profughi seguano i parrocchiani cercando di ricomporre la comunità, compilando l’elenco delle famiglie e mantenendo i contatti con loro, visitandole e interessandosi di provvedere ai loro bisogni «religiosi e morali, igienici e civili».
Nello stesso numero del settimanale diocesano in cui è pubblicata la nota del vescovo, l’Unione degli emigranti avverte che il segretariato è disposizione per prestare la sua opera per le pratiche del sussidio governativo, constatando che «molti sparsi qua e là nei paesi della provincia nulla ancora hanno percepito e ciò per non sapere dove e a chi rivolgersi».
Nel numero successivo (18 giugno) oltre a riportare le prime offerte pervenute al vescovo, viene pubblicata una circolare dell’Unione emigranti che lamenta come «malgrado le cure assidue e illuminate delle autorità pur troppo restano ancora molte questioni da risolvere nei riguardi dei profughi». La circolare, sicuramente scritta da don Giuseppe Rebeschini, originario di Roana, che seguiva la situazione, analizza punto per punto le questioni di collocamento al lavoro, sussidi, alloggio, indumenti, ricerca dei familiari.

Scrivevamo

Sua eccellenza mons vescovo, profondamente preoccupato nella sua pastorale sollecitudine della sorte di tanti profughi, che hanno dovuto abbandonare per necessità militari i loro paesi, ha indirizzato ai parroci in data 22 maggio la seguente lettera: «Profughi! ecco una parola assai comune alla quale ormai tanto ci siamo abituati pronunciandola senza nemmeno pensare alla triste realtà.
Deve essere ben grave, però, e terribile questa condizione quando Nostro Signore Gesù la mette tra le calamità dell’eccidio di Gerusalemme (...). E quantunque, grazie a Dio, non sia in inverno ben provarono in questi giorni e provano queste calamità tanti nostri diocesani fratelli che le esigenze di guerra hanno costretto ad abbandonare le case loro. Solo chi poté assistere al loro doloroso esodo può farsi un’idea della triste sorte di questi nostri fratelli e sentire e comprendere quanto alto e indeclinabile sia il nostro dovere di essere larghi con loro di ogni nostro miglior soccorso, di ogni più affettuoso conforto. (...) È per questo che mi rivolgo a tutti i parroci e dico loro: guardate qual vasto e nuovo campo vi si apre dinanzi per portare ogni sorta di soccorso e conforto»

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