Grande Guerra. A 100 anni dalla battaglia del Solstizio

La “battaglia del Solstizio” come la chiamò l’imaginifico d’Annunzio, in senso stretto fu combattuta tra il 15 e il 25 giugno 1918. Una "vittoria difensiva" fondamentale per la vittoria finale.

Grande Guerra. A 100 anni dalla battaglia del Solstizio

Dopo tante quasi inutili spallate italiane, sull’Isonzo, sull’Ortigara, e dopo una spallata austro-tedesca quasi definitiva, Caporetto, a vincere la guerra sul fronte italiano non fu tanto un’avanzata vittoriosa, che pure ci fu nell’ottobre del 1918, ma una vittoria difensiva, che l’esercito di Armando Diaz ottenne su un esercito austroungarico consapevole di giocarsi la sua ultima carta.

La “battaglia del Solstizio” come la chiamò l’imaginifico d’Annunzio, in senso stretto fu combattuta tra il 15 e il 25 giugno 1918, ma in realtà iniziò il 12 del mese, con l’operazione Lawine sul Tonale, immediatamente rintuzzata,e si concluse il 7 luglio con la definitiva riconquista italiana di tutte le posizioni perdute.

Fu comunque alle tre di notte del 15 giugno che l’esercito imperiale fece scattare le due offensive che dovevano chiudere a tenaglia le posizioni italiane per dilagare sull’agognata pianura veneta piena di ogni ben di dio: l’operazione Radetzky sull’Altopiano-Grappa e l’operazione Albrecht sul Piave-Montello. Una duplice direttrice che rappresentava già un errore, secondo gli storici, perché diluiva il cuneo d’attacco. Al contrario di Caporetto, si verificarono subito due fattori vincenti per gli italiani: la prima linea, soprattutto sul Grappa, tenne duro nelle prime 24 ore dell’assalto consentendo l’affluire delle riserve del Comando supremo; l’artiglieria italiana, cui va il merito principale della vittoria, iniziò un devastante tiro di contropreparazione sui probabili punti di concentramento delle truppe nemiche subito dopo o addirittura prima dell’ora x, perché i comandanti delle grandi unità erano all’erta e, questa volta, avevano dato credito al servizio informativo. Credito che anche il comandante supremo, Diaz, aveva dato negando al generale Foch, comandante di tutte le forze alleate, l’attacco che questi aveva richiesto più volte agli italiani per alleggerire la pressione tedesca in Francia.

Il 15 giugno quindi gli austriaci attaccano sull’Altopiano conquistando quelle cime martoriate che erano appena state riconquistate e vanno sotto il nome di “Tre monti”: Valbella, col del Rosso, col d’Echele. Sul Grappa la penetrazione più grave riguarda il monte Asolone. Sul Piave vengono conquistate teste di ponte sul Montello e nei pressi della foce.

Ma a questo punto lo slancio delle truppe imperiali si esaurisce, i rifornimenti faticano ad affluire a causa del continuo bombardamento delle passerelle sul Piave, gonfiato dalla piena; bombardamento effettuato anche dall’aviazione, che avrà una vittima illustre nell’asso Francesco Baracca, e dai grossi calibri della marina montati su pontoni. I soldati resistono strenuamente ai contrattacchi italiani, ma sono ridotti alla fame e spossati. Il 23 giugno, all’alba, gli austriaci abbandonano il Montello, il 25 la ritirata è generale, a parte i “Tre monti”, l’Asolone e una piccola testa di ponte alle foci del Piave, tutte posizioni che verranno riconquistate dagli italiani tra il 30 giugno e il 7 luglio.
Da quel momento gli austriaci non presero più l’iniziativa. La guerra era perduta, si trattava solo di ritardare il più possibile il crollo definitivo, che avvenne nell’anniversario di Caporetto.

Sulla Difesa del 1° luglio è in programma un paginone dedicato alla “lettura” della battaglia attraverso le pagine storiche del settimanale diocesano di Padova.

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