Venezia celebra Manuzio, l'uomo che inventò i libri (e i lettori)

Cento dipinti di Giovanni Bellini, Carpaccio, Cima da Conegliano, Lorenzo Lotto, Giorgione, Tiziano; sculture di Tullio Lombardo; incisioni di Jacopo De Barbari e Giulio Campagnola; bronzetti del Riccio e del Moderno: tutto questo è in mostra alle Galleria dell’Accademia fino al 19 giugno per parlare di... un tipografo, un editore. Anzi, l'inventore del libro moderno.

Venezia celebra Manuzio, l'uomo che inventò i libri (e i lettori)

Il fatto è che Aldo Manuzio, a cui la mostra è dedicata, facendo il suo lavoro di editore, anzi inventando il mestiere dell’editore, ha contribuito a rivoluzionare il mondo della cultura e dell’arte del suo tempo, diventando una delle pietre fondanti di quel “Rinascimento di Venezia” che fa da sottotitolo alla rassegna.
Un rinascimento che aveva radici lontane, nell’umanesimo di Petrarca e del cardinale Bessarione, che a Venezia avevano lasciato la loro raccolta di codici, ma che esplode alla fine del Quattrocento in questa città-stato che era anche, come rileva il presidente del comitato per le celebrazioni del quinto centenario della morte di Manuzio Cesare De Michelis, porto-mercato con una flotta senza eguali, «splendida e fragile, al culmine della propria gloria e sull’orlo di un baratro minaccioso, bisognosa di tutti mentre si proclamava onnipotente».

In questa città arrivò, ormai quarantenne, il pedagogo romano Aldo Manuzio in cerca di un ambiente che gli consentisse di attuare il suo sogno culturale.
E a Venezia divenne “il principe – il principio – degli editori” inventando il libro in formato tascabile, un nuovo carattere, il corsivo, che tutto il mondo chiama “italic”, curando la raffinatezza, senza troppi fronzoli, dell’impaginazione e soprattutto inventandosi il pubblico dei libri. Che, nel suo progetto di acculturazione generale, non era più solo quello degli eruditi delle università e dei monasteri, ma era fatto di persone, ovviamente ricche, che amavano leggere per diletto e per arricchimento personale, senza mire accademiche.

Ecco perché le edizioni di Manuzio sono filologicamente impeccabili, ma prive di commentari, di annotazioni.
Ecco perché accanto ai classici latini e greci, a cominciare da Aristotele, egli stampò i testi dell’umanesimo volgare, aiutato in questo dalla ricchezza delle biblioteche veneziane e dalla competenza di eruditi cone Ermolao Barbaro e Pietro Bembo.

Questo progetto editoriale, come si diceva all’inizio, non rimase “sulla carta”, ma diventò un progetto culturale e artistico complessivo.
L’anelito a riscoprire la civiltà classica si riversò in opere d’arte che spaziavano anche al di là dei consueti temi religiosi, scoprendo i dipinti da stanza, di carattere devozionale ma anche mitologico, e il genere del ritratto individuale, che coglie la persona nella sua umanità prima ancora che un personaggio sociale.
Allo stesso modo la pittura veneziana scopre il paesaggio, una natura che non è solo un ghirigoro di fondo dorato ma una campagna bucolica, quasi un Paradiso terrestre riconquistato.

Il libro di Manuzio ha creato un suo nuovo pubblico e contemporaneamente ha aperto la strada per un nuovo pubblico di committenti d’artisti: pittori, scultori (con le medaglie e i bronzetti che hanno reso celebri le botteghe padovane eredi della lezione di Donatello), incisori, gioiellieri, commercianti di oggetti antichi che alimentavano il nuovo collezionismo antiquario.
Tutto questo viene raccontato nella mostra veneziana grazie a un centinaio di opere d’arte concesse dai grandi musei italiani e stranieri, e più di trenta rarissime edizioni stampate tra fine Quattrocento e inizi Cinquecento.

Info: 041-5200345.

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