D’estate tornano i giovani. Cosa fare per non perderli?

Tra gli aspetti positivi portati dall’estate c’è la ricomparsa dei giovani. Ma quanto dura questa presenza? Che significa per loro? Ed è possibile far sì che l’attività svolta insieme, maturi un’appartenenza comunitaria più organica e consapevole?

D’estate tornano i giovani. Cosa fare per non perderli?

Tra gli aspetti positivi portati dall’estate c’è la ricomparsa dei giovani: grest, campi parrocchiali, sagre e affini danno l’occasione di farsi presenti e attivi in iniziative organizzate dalle comunità, consolando molti adulti e anziani («Varda che bravi tosi…»).
In effetti l’estate è benvenuta anche per questo, considerando che, soprattutto per chi come me è in parrocchia soltanto di domenica, lo scorrere normale dell’anno non permette di conoscere la fascia giovanile:

tanti adolescenti già hanno lasciato la messa domenicale e, quando ci sono, riescono a nascondersi bene in mezzo all’assemblea; di giovani se ne vedono comunque pochi, di solito quelli impegnati nell’animazione liturgica; in ogni caso, raramente li vedi insieme, in gruppo.

La ricomparsa estiva dunque fa molto piacere e mette fiducia in tutti vederli impegnati per intere giornate e serate, perfino partecipando in prima fila (e con la maglietta identificativa) alla messa principale della domenica.

Ma quanto dura questa presenza? Che significa per loro? Ed è possibile far sì che l’attività svolta insieme a vantaggio della comunità – sia la conduzione del grest, sia la gestione della paninoteca della sagra, sia altro volontariato, sia quel che sia… – maturi un’appartenenza comunitaria più organica e consapevole?

Dalla comunità paesana alla comunità cristiana, insomma.
Nessuno ha ricette con risultati garantiti, ma la disponibilità dei giovani alle attività parrocchiali estive – che loro apprezzano come comunitarie ma faticano a vedere come “pastorali” – conferma la necessità di “seminare” continuamente giocando la carta dell’impegno diretto, del coinvolgimento personale e attraverso il gruppo dei coetanei: tentativi ne vanno fatti in tutte le direzioni, cogliendo anche il dono del sinodo dei giovani come opportunità di smuovere qualcosa di stagnante, di ascoltare le dirette voci giovanili e favorire approcci diversi, nuovi alla proposta cristiana.

Certamente noi adulti, per la tradizione educativa che ci ha formato, fatichiamo a comprendere l’approccio non istituzionale alla fede e alla vita della chiesa che caratterizza l’età giovanile, e ormai anche tanti “cristiani” di tutte le età.

In molti è subentrato un “fai-da-te” religioso che diventa labile appartenenza ecclesiale: magari si applaude e apprezza il papa, si va in pellegrinaggio qua e là e ci si confessa anche, si cercano esperienze religiose dove “star bene”, poi manca la regolarità del ritmo domenicale, dell’impegno attivo per la comunità.

Ci si ripete che la fede viene prima della morale, ma non sappiamo quali giudizi esprimere – istintivamente ci verrebbero sconsolati e rassegnati – di fronte alle due “realtà” (situazioni, problemi… chiamatele come volete) che hanno contraddistinto la passata formazione (e, come insegnava il sociologo don Giuriati, costituivano il 90 per cento dei peccati confessati): l’osservanza del precetto festivo e i comportamenti affettivo-sessuali.
Temi caldi e importanti, che le prassi quotidiane chiedono di considerare in maniera nuova proprio in rapporto alle nuove percezioni dell’adesione di fede, del primato della coscienza personale, della vita come percorso di ricerca ecc…

E dunque?
Ringraziamo il Signore per tutto il bene che i giovani ancora fanno nelle comunità parrocchiali e offriamo spazi e “cuore” (anche di educatori adulti, laici!) perché si sentano comunque di casa nella chiesa; cerchiamo di inventare, raffinare e consolidare proposte che li facciano sentire “importanti” (cioè ciascuno prezioso per sé e non “funzionale”, preso sul serio, aiutato a crescere) e possano condurre a un’adesione personale di fede; speriamo che la chiesa istituzionale, grazie anche alla spinta sapiente di papa Francesco, riesca a riconfigurare modalità di interpretazione della vita cristiana che facilitino la maturazione di un vero senso di appartenenza ecclesiale.

Perché poi il punto cruciale – ci viene ripetuto continuamente – è “uscire”: cioè diventare cristiani capaci di offrire segni di speranza e amore alle tante persone deboli e povere della nostra società.
E qui magari potremmo cominciare noi adulti a dare qualche buon esempio, no? Verba volant, exempla trahunt.

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