Il caseificio che produce speranza

Il futuro di Kladanj, e delle valli montane che lo circondano, passa per un nuovo progetto di solidarietà pensato e “costruito” in Veneto: un piccolo caseificio, che servirà le 250 aziende agricole del territorio.

Il caseificio che produce speranza

Un piccolo caseificio costato ottantamila euro, finanziato dall’associazione onlus Insieme per Sarajevo, espressione della solidarietà vicentina, che sarà vitale per il futuro di 250 piccole aziende agricole nel cuore dei Balcani.
Tra le valli profonde delle montagne distanti più di un centinaio di chilometri dalla capitale Sarajevo, l’autunno è appena abbozzato tra i boschi che circondano il villaggio di Kladanj, 13 mila abitanti a vocazione agricola. È qui che la folta delegazione vicentina è arrivata per inaugurare il “Mljekara Vicenza”, letteralmente Caseificio Vicenza.

Un’autentica boccata di ossigeno per l’asfittica economia dei Balcani, strangolata da una situazione quantomai precaria che per le popolazioni locali sembra non avere fine: «S’interviene – spiega il presidente dell’Associazione Sante Bressan – per far sopravvivere delle comunità che lottano per non abbandonare il loro territorio migrando all’estero».

Era il 1996 quando l’associazione Insieme per Sarajevo nasceva da una costola delle Ipab di Vicenza, all'indomani di un accordo di pace sofferto e a tutt'oggi incapace di tradursi in una vera convivenza tra le diverse etnie, come ha dimostrato anche il recente referendum con cui la comunità serba ha deciso di festeggiare come ricorrenza nazionale il 9 gennaio, ovvero il giorno in cui nel 1992 la regione a maggioranza serba – che oggi si riconosce nella Republika Srpska, entità costituente all’interno della Bosnia Erzegovina, con un proprio governo, parlamento e sistema giudiziario – dichiarò la creazione di una repubblica indipendente.

Se nell’immediato dopoguerra le attività riguardavano il sostegno di primo intervento e di accoglienza degli orfani di guerra – in otto anni ne vennero ospitati 500 nelle famiglie vicentine – oggi le priorità sono nuove e diverse. «Sono cambiati gli obiettivi – prosegue Bressan – perché sono mutate le esigenze delle popolazioni locali. Oggi conta offrire loro strutture e sostegno economico per progetti finanziati con il microcredito o l’intervento solidale di istituti bancari, come quello impiegato a Kladanj».

Occhi lucidi di vicentini e bosniaci al momento del taglio del nastro del nuovo Caseificio Vicenza, con l’imam mussulmano fianco a fianco con il nunzio apostolico di Bosnia, mons. Luigi Peruzzi, giunto da Sarajevo per l’inaugurazione ufficiale del nuovo progetto italo-bosniaco.
Per il nunzio «si tratta di un tangibile segno per la Bosnia, come pure per l’Italia , di cosa possa fare la politica se resta al servizio del cittadino, con l’ausilio del volontariato». Per il sindaco di Kladanj, «è un passo fondamentale per l’economia di un’area ad alto valore agricolo, ormai al collasso per il dopoguerra e la tragica alluvione di due anni fa».

In un passaggio storico in cui la comunità internazionale ha spento i riflettori su quest’area, il volontariato seguita invece a portare linfa e speranza.
Il curriculum dell’associazione vicentina è tale che elencarne tutti i progetti significherebbe raccontare la storia della Bosnia dell’ultimo ventennio. Vicentini solidali che a Sarajevo hanno trovato centinaia di ragazzi, genitori, famiglie, imprenditori, contadini, allevatori, a festeggiarli per celebrare il ventennale, che ha avuto il suo culmine nell'incontro alla Casa della Cultura della cittadina con le autorità e con gli orfani di guerra, allora bambini, che nel corso di un decennio sono venuti a Vicenza durante le accoglienze.

Per molti di loro, oggi cresciuti, sposati e laureati, fu un’esperienza che ha finito per cambiargli la vita
«La guerra ci ha portato via un pezzo di famiglia – ha detto nella sua testimonianza pubblica Suvad, 27 anni, prossimo al matrimonio, insegnante di lingue – ma un altro pezzo lo abbiamo guadagnato in Italia con le nuove famiglie incontrate. Così oggi possiamo dire di avere due famiglie: una in Bosnia e una a Vicenza».

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