Il Giro è finito. Un vincitore, 161 campioni

Alla fine l’edizione numero 100 della corsa rosa ha regalato la prima vittoria olandese, in un giro segnato dall’equilibrio, dal grande ricambio generazionale e da un’assenza: quella della maglia numero 21. E “Ciao Michele” è stata la scritta più presente lungo tutte le strade.

Il Giro è finito. Un vincitore, 161 campioni

L’olandese dunque ce l’ha fatta.
Edizione speciale quella numero 100 del Giro d’Italia, ancor più allora perché per la prima volta a vincere è stato per l’appunto un olandese, Dumoulin.
Da Alghero erano partiti in 197, anzi, 195: subito fuori Pirazzi e Ruffoni (anche le controanalisi sono risultate positive, amen). Gli iscritti erano comunque 198 e mancava come si sa un corridore dell’Astana, quello che doveva essere il capitano della squadra, dorsale 21, Michele Scarponi.

Già la settimana scorsa mi ero soffermato sulle… strade
Sì, le strade dove passava il Giro, spesso rimesse a nuovo, come un po’ il tirar fuori la tovaglia buona quando hai ospiti a cena (con relativi cartelli di ringraziamento, con la speranza – spesso già nello stesso cartello – che il Giro possa ritornare perché ce ne sarebbero altre di strade da sistemare…).

Strade – come ho avuto modo di scrivere la scorsa settimana – mai così tappezzate di rosa, in ogni angolo.

Ma dopo il rosa, è stato proprio Michele Scarponi uno dei più presenti lungo le strade del Giro. Sì, fisicamente non ci poteva essere, ma è come se quel suo dorsale 21 l’abbia fatta pure lui la corsa, tappa dopo tappa: l’ha fatto pure lui insomma il Giro. “Ciao Michele” lo si poteva leggere ogni giorno, un po’ dappertutto, ancora e ancora.

Troppo dire che l’ho conosciuto, troppo.
Però, in questi miei anni di Giri d’Italia, non poche volte ho avuto modo di essere nello stesso albergo, di scambiare sì qualche battuta, ma soprattutto vederlo e sentirlo con i compagni di squadra e sicuramente (allineandomi a quanto è stato detto e scritto) Michele era uno “da spogliatoio”, uno che sapeva ascoltare e farsi ascoltare, più con le battute che con i “discorsi”, con quella sua capacità tutta speciale di saper sdrammatizzare.

E anche quest’anno li ho visti lì assieme i corridori, di questa o quella squadra.
Mai così pochi italiani a un Giro, un grande ricambio generazionale con tanti e tanti ragazzi giovani, sempre però con quel modo di stare assieme lì a tavola, che non può non farmi ricordare il calcio, il “mio” calcio.

Quel silenzio quasi assoluto alla cena del dopo corsa, quella tanta stanchezza che la puoi quasi toccare, non solo vedere. Questo dunque all’inizio, loro così magri e filanti, soprattutto magri. Poi, a mano a mano, ecco l’atmosfera che si anima, sono dei giovani dai, e allora cominciano i racconti, le storie, le battute e lo capisci presto quello più estroverso, quello “muto”, tutto uguale al calcio, sì.
Ora hanno telefonini e altro ancora, c’è Skype eccetera; un tempo noi si andava a cabine telefoniche, sempre a caccia di gettoni, che scendevano giù troppo velocemente. Loro sono invece lì, uno di qua, uno di là, a fare lo stesso, a parlare con le loro donne, a sorridere e raccontare ed è tutta una grande ruota che gira.

Sono dunque partiti in 195 e sono arrivati in 161.
L’ultimo in classifica generale è Fonzi che è arrivato lontano da Dumoulin esattamente di 5 ore, 48 minuti e 40 secondi. Visto che la media della maglia rosa, sui 3.609 km percorsi è stata di 39,843 km/h, vuol dire che – proprio a spanne – il ritardo della “maglia nera” Fonzi è stato di circa 220 chilometri, in pratica una tappa intera.

Tanto o poco? Mah, dipende da come le si vedono le cose. È chiaro, certo che pensare di avere davanti 3.600 e rotti chilometri e riuscire ad arrivare ”al traguardo” a meno di sei ore dalla maglia rosa, non dico che sia un’impresa, ma certo non è poco. Come dire che anche Fonzi, anche l’ultimo, è stato proprio bravo. Sì.

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