Unità dei cristiani: "Cristo non può essere diviso"

Lancia un messaggio forte la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, che si celebra dal 18 al 25 gennaio: "Cristo non può essere diviso". La diocesi di Padova si interroga sui passi che sta compiendo verso l'unità e rilancia sulla necessità di formarsi al dialogo e allo "scambio di doni".

Unità dei cristiani: "Cristo non può essere diviso"

È una pastorale definita di frontiera, ma in realtà non poi così lontana da quanto si vive e si tocca con mano ogni giorno. Ormai la presenza e professione libera di fedi diverse è un dato di fatto e come tale va affrontato con attenzione e preparazione, anche quando si parla di chiese sorelle, nate dal cristianesimo, come l’ortodossa e la protestante, le due principali.

La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che si è aperta sabato 18 gennaio e vedrà la sua conclusione il 25 (con un ulteriore appuntamento per la diocesi di Padova, domenica 26), ancora una volta richiama all’attenzione questa grande frattura e gli sforzi fatti, e da fare, per arrivare a ricucirla. Il tema per l’edizione 2014 è “Cristo non può essere diviso!”, passaggio tratto dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi. «Le chiese del Canada – spiega don Giovanni Brusegan, delegato diocesano per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso – hanno scelto di mettere a tema questa sottolineatura perché riconoscono nel loro territorio la ricchezza della pluralità di presenze cristiane e di altre fedi e, al tempo stesso, prendono atto delle divisioni. La loro riflessione ci fa cogliere come lo scandalo della divisione nasce dal fatto che non si radica la propria vita di fede su Cristo crocifisso e sul battesimo, sacramento condiviso da tutti».

Questo messaggio come provoca la chiesa e i singoli cristiani?
«Bisogna porsi in un cambio di lettura della diversità: il diverso non è un avversario, ma costituisce un dono che esprime la fede in modo differente. Dobbiamo arrivare al cosiddetto “scambio di doni”: riconoscere, cioè, che ognuno è un dono, adottare uno sguardo positivo sulla realtà e verso il prossimo e mettere, quindi, in movimento un donarsi reciproco».

Vede dei segnali positivi in questo senso?
«Il passaggio da papa Benedetto XVI a papa Francesco ha riportato molti discorsi e attenzioni, che erano diventate dell’accademia, all’interno del vissuto della chiesa. La pastorale non è più ancella della teologia e la riforma della chiesa venuta a tema non è solo quella teorica, ma quella del mettere a fuoco aspetti come la riforma delle strutture, la correzione dei comportamenti, l’accoglienza, il dialogo con i fratelli di altre fedi, la collegialità nell’esercizio dell’autorità, il recupero del valore del laicato e il centrare il messaggio su Dio-misericordia più che sulla dottrina di Dio».

Quindi ci aspetta una “nuova riforma”?
«Il rinnovamento della chiesa non avviene se non c’è l’osmosi di tutti gli aspetti sopra citati. Se non sa tradurre e diventare quel volto di Cristo che ha pregato per l’unità, ha portato comunione e dimostrato misericordia, ha vissuto per un regno di Dio capace di costruire pace nel mondo e salvaguardia nell’ambiente, secondo criteri di fraternità. Il tema più alto è il vangelo e l’ecumenismo è proprio nato per vivere quella frase del vangelo che si preoccupa dell’unità dei cristiani. Se non si è in pace tra battezzati, se non viviamo una carità intesa come donarsi, se non riconosciamo che ognuno ha dei doni ed entriamo nella logica dello scambio, si disattende il messaggio evangelico».

Quali passi si stanno affrontando in diocesi?
«Questa proposta del papa ha trovato nella nostra diocesi una risposta immediata. Pensiamo agli orientamenti pastorali, con il nuovo percorso di iniziazione cristiana, la riforma della curia, il rinnovo degli organismi di comunione, la nuova cura a riguardo dei beni della chiesa. La prospettiva indicata dal papa ci conferma in un impegno avviato. Si tratta ora di vivere e non disattendere quelle sfide, dall’emergenza educativa all’accoglienza degli immigrati e al dialogo con il pluralismo religioso, in modo che ci sia un cammino sinergico comunionale che non resti collocato nelle intenzioni del papa ma recepito nella vita delle nostre comunità».

Però nelle parrocchie si parla poco di ecumenismo...
«Una provocazione. Abbiamo appena celebrato un convegno su un documento che riguarda la riforma di Lutero, di cui nel 2017 ricorderemo i 500 anni dell’affissione delle 95 tesi. Qualcuno dirà se non fosse più utile trattare aspetti pastorali concreti. Ma analizzare questo evento ci aiuta sotto due prospettive: capire come si è evoluta la conoscenza e la relazione con le chiese della riforma e al tempo stesso comprendere che siamo chiamati a porci in modo nuovo. Oggi ci sono dei fenomeni quali la secolarizzazione, la globalizzazione, il pluralismo religioso, autentiche sfide rispetto alle quali va ripensato il nostro modo di vivere il vangelo e di proporlo anche nelle parrocchie. I cammini ecumenici ci offrono strumenti e criteri, nati dall’esperienza, per affrontare le emergenze e prepararci al futuro».

Di che tipo?
«Nel processo di dialogo e comunione si impara ad amarsi di più, a chiamare per nome le divisioni e ad aprire gli occhi di fronte a presenze sul territorio, sia dal punto di vista religioso che umano, che ci chiedono di porci domande e offrire risposte perché la speranza possa essere coniugata davvero per tutti. I grandi passi dottrinali non bastano. Dobbiamo arrivare a una chiesa di partecipazione, sempre più missionaria e ministeriale, rivolta ai nostri territori, ai rapporti con le altre chiese, per sanare ferite che oggi ancora esistono. E su quest’attenzione siamo chiamati in prima linea noi presbiteri e i laici che con noi camminano».

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Parole chiave: unità (57), chiese sorelle (1), cristiani (62), ecumenismo (41), formazione (84)