Non è ostile. La parola “straniero” e il referendum sulla cittadinanza

Il pensiero va al referendum sulla cittadinanza che si terrà sabato 8 e domenica 9 giugno. In Italia 1,4 milioni di persone, buona parte in situazione di povertà

Non è ostile. La parola “straniero” e il referendum sulla cittadinanza

Un’amica che compie in questi giorni 100 anni, laureata in “lingue straniere”, mi dice nel corso di un’intervista che dovremmo essere più attenti nell’usare la parola “straniero”.

Lei è perfino perplessa per la definizione della sua laurea, di cui è giustamente fiera, perché le parole sono farmaci e nello stesso tempo veleni: possono lenire un male oppure possono aggravarlo. “Straniero” è una di quelle parole che non devono essere usate maldestramente e strumentalmente perché diventano divisive mentre il compito della parola è quello di unire.

Lo confermano alcune giovani insegnanti impegnate in una scuola elementare dove bimbi e bimbe provenienti da diversi Paesi si trovano spesso di fronte a barriere linguistiche che rendono difficile rapportarsi con coetanei e coetanee di lingua italiana perché visto come “stranieri”.

“Parole che uniscono” è il nome del percorso che propone ai piccoli un percorso di apprendimento della lingua del Paese che li ospita per diventarne cittadini senza con questo rinunciare alla loro storia. Sono molte le esperienze di questo tipo nelle scuole italiane e bisogna ringraziare molti insegnanti per il loro sguardo sul futuro.

Ci sono oltre 900.000 minori iscritti nel sistema scolastico italiano che non sono italiani e sono l’11% del totale. Il 65% di loro è nato in Italia, La maggior parte aiuta i genitori a imparare la lingua italiana mentre in famiglia si parla quella del Paese d’origine.

La parola “forestiero” usata con toni ostili non aiuta il processo del dialogo, della fraternità e della giustizia. Troppo spesso viene usato per indicare qualcuno che deve stare fuori dal giardino di casa, qualcuno che incute timore, qualcuno che deve essere tenuto lontano con misure di sicurezza.

“Non bisogna definire straniera la lingua di un Paese che non è il nostro – ripete l’anziana professoressa – perché abitiamo tutti lo stesso pianeta, ho visto lungo la mia vita come le barriere linguistiche abbiano favorito incomprensione, esclusione e respingimento”.

Non si può fare di “straniero” una parola ostile.

Il pensiero va al referendum sulla cittadinanza che si terrà sabato 8 e domenica 9 giugno. In Italia 1,4 milioni di persone, buona parte in situazione di povertà, sperano che i tempi di attesa per ottenere questo riconoscimento vengano portati da dieci a cinque anni.

Sulla scheda non ci saranno i simboli dei partiti, ci sarà una domanda e dietro questa domanda ci sono i loro volti. Sono i volti di coloro che condividono le fatiche, le attese e le speranze del nostro Paese: come chiamarli “stranieri”?

Il referendum sulla cittadinanza sarà un’occasione per dare una risposta di civiltà e di giustizia, segna l’inizio o una tappa importante di un cammino che entra nel futuro abbandonando le paludi della paura, della diffidenza, di una politica senza respiro.

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Fonte: Sir