Saremo liberi solo se bene informati. Il senso dell’incontro del papa con i giornalisti
Chissà cos’avranno pensato molti tra i lettori di giornali, gli spettatori delle tv locali e nazionali, i comuni cittadini, vedendo che tra i primissimi incontri del nuovo papa Leone XIV c’è stato quello con la stampa.

Attraversiamo un momento storico in cui il confine tra giornalismo e propaganda è labile, la fiducia delle persone rispetto ai giornalisti è ai minimi storici, la libertà di stampa non sempre è percepita come un bene di valore superiore, anzi… eppure Robert Francis Prevost, nell’aula Paolo VI, di fronte ai 6 mila colleghi accreditati – temporaneamente o in forma permanente – presso la sala stampa della Santa Sede, ha voluto ribadire proprio questo e «richiamando tutti noi a custodire il bene prezioso della libertà di stampa». La tradizione di questa prima udienza a inizio pontificato affonda le sue radici, è naturale, nella fortissima copertura mediatica che ogni conclave attira. Per giorni la Chiesa è sotto tutti i riflettori del mondo, entra in tutti i mezzi e in ogni trasmissione, anche quelle che meno se ne occupano nel corso degli anni. Ma Leone non si è fermato al puro saluto di cortesia, ha fatto da subito un passo avanti riconoscendo la centralità dell’informazione e la responsabilità di chi se ne occupa. «Permettetemi di ribadire oggi la solidarietà della Chiesa ai giornalisti incarcerati per aver cercato e raccontato la verità, e di chiederne la liberazione – ha detto tra le altre cose il papa – La Chiesa riconosce in questi testimoni – penso a coloro che raccontano la guerra anche a costo della vita – il coraggio di chi difende la dignità, la giustizia e il diritto dei popoli a essere informati, perché solo i popoli informati possono fare scelte libere». Se solo i popoli informati possono fare scelte libere, viene da chiedersi quale importanza conferisca alla propria informazione quotidiana ciascuno di noi. In termini pratici, quanti euro siamo disposti a spendere per una buona informazione? Se la risposta a questa semplice domanda è zero, abbiamo un problema. L’illusione della gratuità dell’informazione negli ultimi due decenni – da quando la nostra vita è entrata online – continua a fare danni: in realtà, nulla è gratis, se non paghiamo in denaro, paghiamo con i nostri dati, la nostra privacy, o mettendo a repentaglio la nostra capacità di pensare criticamente, sottoposti come siamo alle dinamiche ideologiche e propagandistiche basate su fake news e non solo. Sul versante degli operatori della comunicazione, da tempo i papi insistono perché venga messa al centro la dignità della persona, perché la verità occupi il primo posto e, magari attraverso la storia delle persone, si giunga a trasmettere messaggi positivi e scelte coraggiose in grado di ispirare altri a operare per il bene. Per questo il papa ha concluso l’udienza con l’invito a «scegliere con consapevolezza e coraggio la strada di una comunicazione di pace. Una comunicazione disarmata e disarmante ci permette di condividere uno sguardo diverso sul mondo e di agire in modo coerente con la nostra dignità umana», ha affermato Leone XIV prendendo a prestito il messaggio scritto da Francesco per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali del 1° giugno prossimo. «Voi siete in prima linea nel narrare i conflitti e le speranze di pace, le situazioni di ingiustizia e di povertà, e il lavoro silenzioso di tanti per un mondo migliore. Per questo vi chiedo di scegliere con consapevolezza e coraggio la strada di una comunicazione di pace». È l’impegno che assumiamo anche noi, nel nostro piccolo, lontani dai fronti dove la guerra si combatte con missili e droni, ma accanto alle “trincee” esistenziali dove le comunità civili e religiose vanno costruite e rammendate giorno dopo giorno. La pace è una dimensione anzitutto interiore e, in seconda battuta, artigianale, confezionata sui gesti e le scelte quotidiane. È lì che tutti insieme, compreso un settimanale diocesano, possiamo fare la nostra parte per un mondo più giusto.