Prima domenica di Avvento *Domenica 29 novembre 2020

Marco 13, 33-37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

Rendiamo presente il Signore, adesso

 

Stiamo entrando nei giorni dell’anno in cui le ore di luce si accorciano, mentre quelle del buio si mostrano più convinte. A volte succede così anche dentro di noi: si ha la sensazione di aver meno luce, meno autonomia, meno convinzione, meno forza, meno grinta. Sono giorni in cui si scivola nel malinconico, in cui risulta automatico pensare che non valga la pena darsi tanto da fare e ci pervade una triste rassegnazione che pare essere l’unico responso sul vivere. L’entusiasmo viene guardato con sospetto, se non con derisione, e si torna a ripetere quel che si è già fatto pur sapendo che non porterà nessuna progressione o cambiamento.

Che tristezza, vero? Sì...

Eppure, chi è adulto avrà quasi sicuramente fatto esperienza del sapore “sassoso” di quel tipo di esperienza; prima o poi tutti sperimentiamo una certa fatica del vivere, il che non è un male ma una condizione direi naturale. La medicina per guarire sta nel non rassegnarsi e nello scrollare di dosso quel peso dalle spalle, facendo cose buone e tornare a guardare oltre, altrove e in alto.

Prima è però importante non far finta che tutto vada sempre bene, non soffocare quel che si prova, ma accettare quel che si prova e interrogarsi: che cosa sto provando? Con che parole descriverei quel che sento dentro me? Che cosa ha fatto nascere questa sensazione? Queste possono essere alcune domande che aiutano a far chiaro in sé. E poi ne aggiungo un’altra che a mio parere è di vitale importanza: dopo essermi guardato dentro con sincerità, cosa capisco di aver bisogno? Che cosa mi manca?

Chi vuole provare, faccia questo esercizio spirituale dedicando un quarto d’ora al giorno per rispondere a queste domande.

Le risposte che per prime si proporranno, di solito non sono quelle che intercettano i bisogni più profondi della vita, ma quelle più facili scontate, ripetitive, comode e tutto sommato infruttuose.

Di che cosa ho bisogno? 

Che cosa mi manca?

Ci vuole pazienza, coraggio, fedeltà (virtù a cui oggi non siamo molto allenati) per non rinunciare e per vincere la paura che si sente nel provare la sensazione del non saper rispondere a queste domande. Eppure, prima di intraprendere qualsiasi scelta, prima di provare a reagire, prima di decidersi all’impegno è necessario trovarne risposta perché queste domande sono eco di quelle che Gesù rivolgeva alle persone che gli chiedevano aiuto: cosa vuoi che io faccia per te? Di che cosa hai bisogno? che cosa ti manca?

Perché non provare a fare questo esercizio in famiglia?

La nostra Chiesa di Padova ha proposto, a primavera, “l’angolo bello”: suggerisco di riprenderlo, scegliendo un breve tempo, a sera, per fermarsi tutti, genitori e figli, sposi, o anche da soli, accendere una candela e chiedersi: 

che cosa mi è mancato oggi? 

Di che cosa ho bisogno?

Ascoltare le possibili risposte – senza intervenire o ribattere – e metterle poi sempre insieme davanti al Signore con una preghiera condivisa, non ci potrà che aiutare a crescere nella comunione, nella verità dei nostri rapporti, nell’aiuto reciproco.

L’Avvento è un tempo per tornare – tutti! – a ricercare luce, forza, fisionomia, identità, salvezza vivendo la vigilanza che il Vangelo propone come incarico e segno di distinzione di chi ha un ruolo di responsabilità.

E non sono responsabili i genitori? Non lo sono gli amici? E gli educatori, gli insegnanti? E quanti hanno un ruolo di guida nel campo civile, morale, religioso non sono responsabili di un bene più grande che deve custodire la vita di ciascuno?

Il Signore torna a suggerirci di non perdere la vita tentando di accomodarla, ma di salvarne il segreto e il dono cercando quel che manca e scegliendo o inventando o proponendo modi e percorsi e mezzi che ci aiutino e aiutino anche altri in questo intento.

Vegliate!

È come se il Signore ci dicesse: sta’ attento… quel che ti tiene vivo non è quel che hai o solo quello che sai, ma quello che ti manca; riprendi a cercarlo, scegli qualcuno con cui condividere l’impegno di cercare luce, aiutatevi.

In questi tempi appesantiti dal sovraccarico di paura e sfiducia nel futuro, il Vangelo dell’Avvento suggerisce di risanare la vita con il coraggio di incamminarci per vie diverse da quelle – percorse da tutti – che non portano da nessuna parte: fa’ tu cose che guariscono la vita… Fa’ tu cose che guariscono il tuo matrimonio, fa’ tu cose che guariscono la tristezza, fa’ tu cose che guariscono la paura, fa’ tu cose che guariscono la tua parrocchia, fa’ tu cose che guariscono i pensieri e le parole, fa’ tu cose che guariscono il tuo paese…

Quali potrebbero essere? 

Pensaci… e poi scegli!

 Il modo non è uguale per tutti, visto che ciascuno, stando al Vangelo di questa domenica, ha ricevuto un incarico personale e particolare.

Sì, ci vuole coraggio! È più facile addormentarsi, scivolare nella rinuncia, nel buio, spegnersi ripetendo cose che non fanno luce e illudersi aspettando non si sa che cosa o chi.

Il Signore è venuto e verrà, l’Avvento ce lo ricorda ma allo stesso tempo ci offre l’incarico di renderlo presente ora, adesso.

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