Gianna Jessen, la donna che non doveva nascere, a Ospedaletto Euganeo

La fede e l'amore per la vita saranno al centro dell'incontro organizzato dall'associazione "Life" di Ospedaletto Euganeo venerdì 26 maggio, nella chiesa parrocchiale alle ore 21. A parlarne sarà Gianna Jessen, la donna statunitense sopravvissuta all'aborto salino, che da fardello indesiderato è diventata la "bambina di Dio".

Gianna Jessen, la donna che non doveva nascere, a Ospedaletto Euganeo

Una testimonianza di fede e di amore per la vita.
E se ha parlare è una donna sopravvissuta all’aborto, le sue parole si trasformano in un appello a riconoscere la sacralità dell’esistenza umana fin dall’attimo del concepimento.
È questo il tema su cui l’associazione Life di Ospedaletto Euganeo ha deciso di puntare l’attenzione invitando Gianna Jessen, la donna statunitense sopravvissuta a un’interruzione di gravidanza.

Gianna sarà ospite nella chiesa di Ospedaletto venerdì 26 maggio alle ore 21 per raccontare la propria storia a quanti vorranno lasciarsi toccare da una vicenda capace di sollevare profondi interrogativi sul senso stesso dell’esistenza.

La storia di Gianna inizia con il rifiuto da parte della madre, che nel 1977, a 17 anni, decide di rivolgersi a una clinica abortista del Tennessee per disfarsi di un “fardello indesiderato”.
Al settimo mese di gravidanza la ragazza si sottopone a un’iniezione letale di soluzione salina che avrebbe dovuto uccidere il feto. Ma le cose vanno diversamente: la bambina vien e partorita viva e l’infermiera di turno, approfittando dell’assenza del medico abortista, la affida alle cure dell’ospedale pediatrico.
Le ustioni riportate le avevano provocato una paralisi, da cui, secondo i medici, non si sarebbe mai più ripresa; invece all’età di tre anni la piccola riesce a muovere i primi passi grazie alle premure della signora che l’aveva presa in affidamento.

Se oggi Gianna viaggia e tiene conferenze in ogni angolo del mondo invitando non soltanto i fedeli e i cittadini, ma anche le istituzioni a schierarsi contro l’aborto, è proprio grazie a quell’amore ricevuto. Un amore in cui lei riconosce l’impronta della misericordia di Dio, al punto da definirsi la “sua bambina”, con la missione di testimoniare agli altri la bellezza della vita, intesa come progetto imperscrutabile che Dio ha modellato per ogni sua creatura.

È la stessa convinzione che anima l’associazione Life, attiva a Ospedaletto da circa sette anni e che trova nella valorizzazione della vita, fin dalla sua prima scintilla, la propria ragion d’essere.
«La vita non ha un punto di inizio che possa esser definito in maniera arbitraria – afferma Maria Luisa Zanato, responsabile di Life – ma fin da subito è un progetto di Dio con cui l’uomo non può interferire. Attraverso la testimonianza di Gianna speriamo di attirare soprattutto i giovani, gli incerti, i dubbiosi e di spingerli a interrogarsi sulla sacralità della vita».

Del resto è difficile rimanere indifferenti alle parole di Gianna, sia per l’intensità della storia che racconta, sia per l’autoironia con cui dimostra di accettare la propria condizione fisica.
Una consapevolezza di sé frutto di anni di riflessione e scavo interiore: all’inizio della sua “militanza antiabortista”, infatti, Gianna raccontava la propria storia in modo molto duro, lasciando trasparire tutta la drammaticità del rifiuto che l’aveva segnata. Un’esperienza dolorosa, trasformata in motivo di gioia grazie alla fede che le ha trasmesso chi si è preso cura di lei.

È stato proprio grazie a uno di questi video che Maria Luisa Zanato ha conosciuto Gianna e, dopo aver seguito alcune delle sue testimonianze in Italia, ha deciso di invitarla a Ospedaletto, nella speranza di sensibilizzare i presenti sull’importanza e sulla dignità della vita in ogni sua forma.

Per raggiungere questo obiettivo l’associazione non si limita soltanto a organizzare incontri e momenti di preghiera, ma si impegna anche attraverso gesti concreti di carità come il seppellimento dei feti al di sotto delle 20 settimane su richiesta delle madri e, da qualche mese a questa parte, i campi umanitari in un orfanotrofio dell’Ucraina.

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