"Una regina a palazzo". La Madonna del Vivarini in mostra

La sala del Barbarigo espone la quattrocentesca Madonna col Bambino di Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna restaurata con la campagna “Mi sta a cuore”. La mostra "Una Regina a palazzo" si protrarrà fino al 6 gennaio, con interessanti eventi organizzati contestualmente.

"Una regina a palazzo". La Madonna del Vivarini in mostra

“Troneggia” su un baldacchino di cerulea semplicità, protagonista assoluta della mostra “Una regina a palazzo”. La sala San Gregorio Barbarigo del palazzo vescovile, sede del museo diocesano, ospita fino al 6 gennaio la mostra che descrive La Madonna col Bambino e il suo restauro.

Un capolavoro, quello finora “nascosto” nella sacrestia della chiesa di San Tomaso Becket, che è stato restituito alla sua quattrocentesca eleganza, frutto del lavoro combinato – dicono le analisi storico-stilistiche condotte dal conservatore del museo diocesano Carlo Cavalli e pubblicate nell’accurato catalogo – del veneziano Antonio Vivarini e del cognato tedesco Giovanni d’Alemagna. L’opera era la parte centrale di un trittico eseguito intorno al 1443, probabilmente per la chiesa veneziana di San Moisè. Alla fine del Seicento deve essere stato tolto dalla chiesa, profondamente ristrutturata in chiave barocca, e smembrato. Le due tavole laterali, che effigiano san Pietro e san Girolamo a sinistra e san Francesco e san Marco a destra, sono finite alla National gallery di Londra. Non essendo stato possibile riunire il trittico, per la mostra padovana ne è stata realizzata una copia fotografica a grandezza naturale.

La pala centrale è entrata nella collezione di Giuseppe Pichi, cittadino veneziano, letterato ed erudito, che si trasferì a Padova dove ricoprì varie cariche pubbliche a partire dal 1721. Alla sua morte, avvenuta a Padova il 21 luglio 1755, lasciò la Madonna col Bambino ai Filippini che all’epoca reggevano la parrocchia di San Tomaso, dove fu sepolto. Originariamente collocata nella cappella dei Filippini, fu spostata nell’adiacente chiesa di San Tomaso quando, intorno al 1937, la cappella fu trasformata in teatro. Durante la seconda guerra mondiale fu trasferita a Venezia e poi esposta in varie mostre. Nel 1959 trovò sistemazione definitiva sulla parete di fondo della sacrestia, ma nella notte tra il 16 e il 17 settembre 1971 fu trafugata insieme ad altri due dipinti e ritrovata pochi giorni dopo a Napoli dal Comando tutela patrimonio culturale dei carabinieri.

Il risanamento e restauro attuale, iniziato due anni fa e reso urgente dal sollevamento di alcune parti dello strato pittorico in corrispondenza del volto della Vergine e in altri punti, è stato condotto dalla “padovana” Maria Chiara Ceriotti e, insieme alle vare analisi non distruttive compiute sull’opera, ha portato a varie sorprese, prima tra tutte la constatazione che il quadro è sostanzialmente ben conservato. L’unico danno apparso allo stato attuale “irreparabile” riguarda l’azzurrite dello sfondo, inevitabilmente annerita da leganti assai alterati in bruno e impossibili da separare dalla tinta primitiva. È però stato restituito alla sua piena leggibilità lo sfondo floreale originario, costituito da un rigoglioso roseto e da un fitto manto erboso in cui Giancarlo Cassina ha riconosciuto raffigurate varie specie botaniche.

La rosa, spiega Cavalli, «è uno dei principali simboli associati alla Vergine, a partire dal tardo medioevo e con riferimento all’Immacolata Concezione. Maria era chiamata “rosa senza spine”, colei che fiorisce da un arbusto spinoso ma che rimane preservata dalle spine del peccato originale». Sul cuscino ai piedi della Vergine è comparsa la scritta in caratteri gotici «Ave Regina Coeli» che si riferisce, come la scritta che scorre ai piedi del trittico, alla regalità della Vergine. Questo particolare è stato specificamente studiato da Elisabetta Favaron.

Leggi il servizio completo e il calendario degli appuntamenti collaterali nel numero in distribuzione da sabato 1° novembre e disponibile on line.

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