Domenica delle Palme della passione del Signore *Domenica 9 aprile 2017

Matteo 26, 14-27, 66

Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa “luogo del cranio”, gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte. Poi, seduti, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei». Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra. Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: «Sono Figlio di Dio»!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo. A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito. Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!». Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra queste c’erano Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo.

Lo spettacolo della morte

La liturgia di questa domenica ci propone il lungo racconto della passione di Gesù contenuto nel vangelo di Matteo. Ci soffermiamo sulla scena che si svolge sul luogo della crocifissione, noto col nome di Golgota, che come ci suggerisce l’evangelista significa cranio. In tanti quadri della crocifissione vediamo ai piedi della croce o lì vicino uno o più teschi proprio per questo motivo. Quello era il luogo delle esecuzioni, e non tutti avevano parenti che si occupavano dei corpi dei giustiziati. Molti finivano in fosse comuni, da cui ogni tanto qualche osso fuoriusciva. L’ambientazione da subito, dal nome e dai particolari adombra tutta la scena di morte. Di fatto quello era un luogo che serviva appositamente per mettere in scena la morte come una sorta di spettacolo. Elevato, in modo che fosse ben visibile a più persone. Nelle culture antiche si pensava che questo potesse essere un buon deterrente per evitare che la gente commettessero cose che potevano portarli a una condanna a morte.

In realtà luoghi del genere avevano finito col banalizzare fortemente il concetto di morte. Se osserviamo bene la scena, intorno a Gesù e agli altri condannati, c’è una massa di persone che sembrano del tutto indifferenti a quanto sta capitando. Persone che rimangono perfettamente concentrate su loro stesse. Ci sono i soldati che semplicemente eseguono i loro compiti, svolgono un lavoro come un altro, anzi sembrano più preoccupati di che fine faranno i vestiti di Gesù, tanto da giocarseli tirando a sorte. Per loro quelle vesti valevano più delle vite delle persone appese a quelle croci.

C’è una folla anonima ma rabbiosa, che come banalizza la morte a cui sta assistendo mostra di banalizzare pure i discorsi che Gesù aveva pronunciato da vivo. Siccome non li hanno capiti glieli ributtano addosso insultandolo. Come lo insultano i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani presenti. Lo insultano e lo deridono. Non riescono a separarsi dal loro astio neanche di fronte al dolore e alla tragedia. Avrebbero potuto accontentarsi del fatto che si erano sbarazzati di Gesù considerandolo un pericolo. E invece no: devono infierire. Sembra un’abitudine talmente forte e radicata che nessuno riesce a farne a meno, nemmeno i due ladroni che stanno morendo insieme a Gesù. Neanche la loro stessa morte gli permette di prendere le distanze da quello che di solito non funzionava nelle loro vite.

Poi per fortuna Gesù muore. Per fortuna perché stava diventando veramente insopportabile tutta la scena. Chi legge o ascolta questo racconto, nel momento in cui Gesù emette lo spirito di solito tira un sospiro di sollievo. Sembra paradossale, ma almeno questo mette fine a quella descrizione di un mondo sgradevole e troppo meschino. Almeno con la morte, si pensa, si metterà a tacere tutta quella cattiveria, quell’ingiustizia, quella prevaricazione. Probabilmente noi che leggiamo o ascoltiamo mettiamo dentro al racconto anche tante altre cattiverie, ingiustizie, prevaricazioni, vissute sulle nostre pelli, subite. Ma la morte di Gesù appare come qualcosa di diverso. Che rende giustizia del concetto di morte e vita. In Matteo ancora più fortemente con la scena dei corpi dei santi che escono dai sepolcri e appaiono poi anche in città. Dio qui fa chiarezza: ricorda a quei piccoli che si sentono potenti perché hanno dalla loro le armi o l’autorità, che la vita è nelle sue mani. Non solo quella dell’anima, ma anche quella dei corpi. La vita delle persone nella loro interezza. Le persone in quanto esseri viventi sono sue e può disporne come meglio crede lui.

Questo lo capisce il centurione e quelli che stavano con lui, che sbalorditi per la prima volta si accorgono di cosa stava succedendo. E lo dicono: abbiamo visto il figlio di Dio. Il quadro su quel luogo si chiude con un gruppetto di donne che da lontano osservano. Avevano accompagnato il tutto con la loro presenza silenziosa ma significativa. Sono rimaste lì fino alla fine, aspettando il momento di intervenire. Sono un po’ come tutti noi che leggiamo ora questo racconto. Abbiamo visto. Adesso possiamo agire di conseguenza.

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