Comunità e vicariati del futuro al centro dell'incontro congiunto degli organismi di comunione

Sabato 24 a villa Immacolata si è tenuto l'incontro congiunto, l'ultimo prima del rinnovo degli organismi di comunione a livello diocesano. Grazie ai contributi di Luca Grion e don Antonio Torresin, la riflessione sulla comunità del futuro ha acquisito slancio ulteriore, ma non sono mancate le notizie: a ottobre il vescovo Claudio inizia la sua prima visita pastorale alle parrocchie della diocesi; nei prossimi mesi alcuni vicariati si fonderanno, passando da 38 a 30.

Comunità e vicariati del futuro al centro dell'incontro congiunto degli organismi di comunione

L’annuncio ufficiale della visita pastorale del vescovo Claudio e il mutamento della geografia dei vicariati.
Al termine dell’incontro congiunto di sabato scorso non sono certo mancate le notizie. È palpabile la sensazione che la Chiesa di Padova sia nel pieno di un cammino che la condurrà, attraverso sentieri ancora inesplorati, verso la sua nuova conformazione, più adatta all’annuncio del Vangelo all’uomo del 21° secolo.

Sabato 24 a villa Immacolata, si sono riuniti attorno al vescovo, per l’ultimo incontro del quinquennio, i membri dei principali organismi che animano la vita della Diocesi: il consiglio pastorale e quello presbiterale, i rappresentanti degli uffici pastorali e delle aggregazioni laicali, oltre naturalmente ai vicari foranei ed episcopali.
L’obiettivo all’ordine del giorno, come ha spiegato don Leopoldo Voltan, vicario per la pastorale, era tracciare una sintesi del cammino fatto in questi anni – segnati dal cambio del pastore alla guida della Chiesa padovana – per rilanciare l’azione dopo il rinnovo dei consigli pastorali e dei coordinamenti vicariali in programma nei prossimi mesi. 

Al centro della riflessione dunque non poteva che tornare il volto della comunità del futuro, come nucleo centrale per l’azione della Diocesi, innescata ufficialmente lo scorso novembre dallo stesso vescovo Claudio.

I contributi degli esperti

A portare il loro contributo sul tema sono intervenuti Luca Grion, docente di filosofia morale all’Università di Udine, e don Antonio Torresin, parroco milanese, autore di diverse pubblicazioni in merito, nonché di una serie di editoriali usciti su Settimana (su diocesipadova.it è possibile ri-ascoltare gli interventi).

Luca Grion ha puntato sulla centralità di un “noi” che renda l’individuo pienamente inserito all’interno del tessuto connettivo della comunità, rispetto all’“io” imperante in questo nostro tornante della storia che tende ad allentare i legami e sciogliere le relazioni.
L’immagine proposta dal filosofo morale è suggestiva, anche perché in controtendenza rispetto alla dinamica attuale: è possibile anche in questo clima culturale costruire un’esistenza più simile a un albero radicato sul terreno in cui vive, capace di fare da punto di riferimento per altri, stanziali o viandanti, e di generare frutti esattamente lì dov’è piantato, piuttosto che vivere come un fungo, effimero ed estemporaneo.
Una sensazione contrapposta: da un lato, vite simili a isole, concorrenti tra loro nell’apparire ben fornite e tirate a lucido; dall’altro, esistenze come nodi di una rete, capaci di custodire e creare legami alla base della vita comunitaria.

Don Torresin ha impostato la sua relazione sulla sfida che il terzo millennio sta ponendo alla realtà parrocchia: come evangelizzare oggi, in un contesto in cui la fede sembra non essere necessaria e non si trasmette più naturalmente, per osmosi? 
Dalla sua, la comunità parrocchiale ha la grande capacità di adattamento ai tempi e alle situazioni storiche e culturali, già dimostrata nel passato più o meno recente. Viceversa, diventa imperativo in questo momento saper creare relazioni autentiche tra i cristiani e non solo: senza affetto – ha chiosato il sacerdote lombardo – non c’è nemmeno fede, il Vangelo passa di persona in persona. Il tutto in uno stile che pone l’altro al centro e gli dà, per primo, la possibilità di raccontarsi e di esprimersi.

C’è una doppia ospitalità da sperimentare: quella da concedere, su cui le comunità sono ben “allenate”, e soprattutto quella da chiedere; sono capaci le nostre parrocchie di andare per le strade dei paesi, suonare i campanelli e farsi ospitare nelle case? In questo senso appare evidente come ognuno – sacerdoti, religiosi e laici impegnati – sia in sé stesso rappresentante in toto della comunità.

La riflessione del vescovo

Meditando sul brano della Trasfigurazione di Gesù, il vescovo Claudio ha messo in risalto la capacità richiesta oggi, alla chiesa di Padova, di rimanere in una dimensione di attesa, senza prendere di tirare immediatamente le somme e prendere decisioni in merito al cammino sul futuro della comunità, incentrato sullo strumento di consultazione La parrocchia.
Come Gesù chiede silenzio agli apostoli scendendo dal monte Tabor, così la Diocesi necessita di altro tempo e di un surplus di riflessione per comprendere la chiesa che sarà, il volto della comunità di domani.
Il riferimento del vescovo è certamente al compito che spetta in questi giorni ai vicariati. È lì che il confronto sullo strumento di consultazione sta per approdare, dopo aver attraversato le comunità di base. Il calendario è fitto e, tranne in pochi casi, la gran parte dei vicariati, accompagnati dai vicari episcopali e da membri del consiglio pastorale diocesano, si ritroveranno nelle prossime settimane per mettere a fuoco i due punti dello strumento di consultazione a loro assegnati.

Cambia la geografia dei vicariati 

Sarà l’ultimo, importante atto dei vicariati in questo quinquennio.
In alcuni di essi, in primavera, scatteranno alcune ridefinizioni che ridurranno il numero attuale, 38, a 30. Riceve nuovo impulso un processo iniziato ben prima dell’ottobre 2015, insediamento del vescovo Claudio, a cui la Difesa dedicherà ampio spazio nei prossimi numeri.

L’elemento fondamentale di questa dinamica in atto riguarda la logica pastorale assunta negli anni
«La ridefinizione dei confini dei vicariati – spiega il vicario per la pastorale – coincide con il ripensamento delle nostre scelte e impostazioni pastorali. Ci sono due evidenze, che poi in questi mesi hanno trovato espressione anche nel testo La parrocchia: da un lato la centralità e soggettività di ogni parrocchia, anche se piccola e priva di parroco residente, e la visione, in una prospettiva medio lunga di 10-15 anni, della risorsa di preti disponibili».
Si tratta di un processo in atto, che andrà ultimato anche attraverso i suggerimenti che i vicariati stessi invieranno. «In ogni caso – conclude don Leopoldo Voltan – per i vicariati che si ridefiniscono andiamo verso una revisione di compiti e ruoli, che molto probabilmente andrà visto in un’altra ottica».

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