Piero Benvenuti neocommissario dell'Agenzia spaziale italiana. Quattro anni fa ci diceva: "Il futuro? Dipende dal merito"

Quattro anni fa, alla Difesa del Popolo, il neocommissario dell'Agenzia Spaziale Italiana Pietro Benvenuti ci spiegava la scienza che racconta un universo in cui c’è posto per Dio. E sul futuro del Veneto: "Non siamo condannati a un futuro di mediocrità. Se stimolati, nei giovani si riaccende subito la curiosità. Occorre però valutare e premiare i meritevoli, no a un livellamento generale".

Piero Benvenuti neocommissario dell'Agenzia spaziale italiana. Quattro anni fa ci diceva: "Il futuro? Dipende dal merito"

Dalla Difesa del Popolo del 19 ottobre 2014

Bellissimo, entusiasmante, ma... a cosa serve? Nella vita di ogni giorno, per l’uomo della strada, per il professionista indaffarato e la mamma che guarda i figli crescere col lunario da sbarcare: quale valore porta tutto questo? Sono queste le questioni che Piero Benvenuti si è sentito porre decine di volte al termine di una conferenza divulgativa. E lui, nativo di Conegliano, una laurea in fisica a Padova nel 1970, una cattedra in astrofisica a Cagliari e ora nella città del Santo, direttore dell’osservatorio di Asiago e di Madrid, responsabile scientifico di svariati progetti per l’Agenzia spaziale europea, già consigliere d’amministrazione dell’Agenzia spaziale italiana e dal 2011 per volere di Benedetto XVI consultore del pontificio consiglio della cultura, queste domande non le prende certo sottogamba. «Se ti chiudi nell’osservatorio e conduci con grande entusiasmo le tue ricerche non sei utile, ti devi chiedere che cosa porti all’altro, al prossimo».

E lei professore come si è risposto lungo la sua carriera?

«Ho capito che abbiamo un grande bisogno di raccontare le più grandi scoperte della storia recente dell’astrofisica e della cosmologia, le quali ci spiegano che l’universo è in evoluzione e che l’uomo si evolve con esso. Dopo 14 milioni di anni abbiamo scoperto di essere la parte cosciente dell’universo, e dunque prendersi cura del pianeta, dell’ambiente, del creato, non è più solo una posizione ideologica, bensì significa occupare fino in fondo il nostro posto. Per di più con un concetto diverso di tempo».

Di quale idea di tempo parla?

«Vede, da 400 anni, col modello galileiano-newtoniano, abbiamo una concezione del tempo come dell’unica grandezza oggettiva. Abbiamo perso la distinzione già presente tra i greci del tempo oggettivo, cronos, e del tempo percepito, personale, sacro: kairos. Ebbene, oggi è la stessa fisica, grazie alla teoria generale della relatività, a dirci che non esiste un tempo oggettivo, un ordine cronologico perfetto. Ma noi conserviamo questa idea distorta: ci stupiamo del fatto che nel medioevo discutessero molto per capire quale fosse il momento preciso in cui la particola diventa corpo di Cristo. Tutti oggi concordiamo che è l’eucaristia nel suo complesso, in una visione kairologica a determinare questo, eppure studiamo per capire qual è il momento preciso in cui l’embrione diventa vita. Non ha senso, è evidente che la cosa va guardata nel complesso dal concepimento, anzi, già dalle motivazioni del concepimento. Serve una nuova concezione, che rende possibile anche l’esistenza di qualcosa di esterno allo spazio-tempo».

Questo vale anche per l’universo?

«Certo che sì. Se continuiamo a leggere il racconto della creazione come un evento preciso proponiamo un’esegesi fuorviante. Il racconto mitico va reinterpretato grazie alla conoscenza razionale che abbiamo ricevuto in dono, per citare Tommaso d’Aquino. La creazione va vista nel suo complesso, ancora in atto, non come un momento preciso. Per questo non ha senso cercare la particella di Dio. Certo, abbiamo ancora molto da fare per spiegare tutto questo, e continuando a spiegare ai bambini Adamo ed Eva come se fossero la realtà, non dobbiamo stupirci se poi ci troviamo di fronte gli Odifreddi. Ma la domanda è: chi crea l’ignoranza?».

A questo proposito, come valuta il sistema educativo italiano?

«Incontrando gli studenti ho una sensazione fortissima di una grossa lacuna, una sorta di ponte sospeso tra le elementari e il liceo. Come se le scuole medie non esistessero, forse lì si fanno molte attività, ma non sempre gli obiettivi sono chiari. Così alle superiori non è semplice creare quella cultura, un visione scientifica o umanistica, che di fatto crea l’uomo, il cittadino di domani. Recuperare poi tutto questo nel luogo della specializzazione che è l’università diventa molto difficile».

Siamo condannati a un futuro di mediocrità?

«No perché nei giovani, se stimolati, la curiosità si riaccende immediatamente. È un dato proprio della natura dell’uomo. Ogni giorno sperimentiamo come Plutarco avesse ragione: la mente dell’uomo non è un vaso da riempire, ma una fascina da accendere, capace di ardere da sé».

A quale modello tendere allora?

«Bisogna recuperare la valutazione e il merito. Chi ha maggiori capacità deve essere potenziato, mente oggi assistiamo a una livellazione verso il basso che crea problemi. Basti vedere come oggi tutti gli esami che un tempo scandivano i percorsi scolastici siano stati eliminati o ammorbiditi, fino alla maturità che non ha più commissari esterni. Stimolare all’impegno è fondamentale, il gioco, il divertimento sono importanti a seconda delle età, ma viene anche il tempo di studiare. D’altra parte gli insegnanti sono stati abbandonati a loro stessi dalla politica, socialmente non più riconosciuti ed economicamente frustrati. Oggi dà il meglio solo chi comprende che comunicare conoscenza è sempre un atto di relazione e dunque un atto d’amore».

Anche l’università non è esente da problemi…

«È assurdo che in Italia ci siano 90 atenei e che lo stato li tratti tutti alla stessa maniera. È giusto che i fondi vadano a chi dimostra di saperli far fruttare. Oggi ci sono graduatorie che certificano le prestazioni e Padova è al primo posto, però anche qui si è ceduto alla piaga delle sedi staccate che rispondono alle esigenze della più bassa politica e tradiscono il vero senso dell’università, cioè di un centro dove si tratta tutto il sapere».

Ora il ministro Giannini sta bloccando la proliferazione incontrollata dei corsi.

«È la scelta giusta, ma non si può operare solo in base ai numeri. Un esempio: Padova e Bologna sono gli unici atenei ad avere il corso di laurea in astronomia. Alla magistrale i numeri sono molto ridotti, perché chi la frequenta punta a un dottorato e alla professione di astrofisico. Bene, oggi noi ci salviamo perché grazie a un progetto europeo ospitiamo studenti asiatici e americani che frequentano un semestre in varie università, presentandosi tra l’altro molto motivati e stimolando anche i nostri ragazzi che tenderebbero ad essere più passivi».

È un Veneto un po’ addormentato...

«Al contrario, io sono molto ottimista sul Veneto per le risorse che ha, espresse per esempio da aziende come la Eie di Mestre, che ha prodotto tutti i telescopi dell’Agenzia europea, o la Space Technologies di Rovigo. Sono il simbolo di una regione ricca di risorse, che sa muoversi con rapidità in campi tecnicamente molto avanzati. Le eccellenze non ci mancano, le stesse attività che svolgiamo nel laboratorio del nostro dipartimento lo sono: parteciperemo alla missione europea “Exmars 2016” e le stesse telecamere della missione Rosetta per lo studio della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko che ci stanno inviando immagini, sono state costruite qui»

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