Spiegare la morte. Frequentemente, i ragazzi si avventurino in ricerche personali e intraprendenti per poter dare risposte a domande difficili

I nostri adolescenti, lasciati troppo a lungo a “intrattenersi” con la “morte virtuale”, magari pensano di gestire quella “reale” digitando i tasti giusti o sfilando dalla manica la mossa più veloce?

Spiegare la morte. Frequentemente, i ragazzi si avventurino in ricerche personali e intraprendenti per poter dare risposte a domande difficili

Il pensiero della morte è un ospite scomodo all’interno delle nostre coscienze. Ci accompagna passo dopo passo nella nostra esistenza, a volte ci sfiora soltanto, altre si manifesta con violenza per sottrazione, privandoci di amici, conoscenti, familiari.

Non è facile raccontare la morte ai bambini, ancora più difficile farlo con gli adolescenti perché nessuna fiaba, nessuna metafora, nessun termine edulcorato ci potrà venire in soccorso. Per descrivere la morte occorrono parole crude, a volte persino macabre, occorre saldezza d’animo, onestà e limpidezza. Questa narrazione ci rende vulnerabili, scopre le nostre paure profonde ed espone tutte le nostre inettitudini. Soprattutto ci trova impreparati, perché per lo più nel corso degli anni e attraverso gli eventi ci siamo adoperati per rimuovere l’ombra della caducità e della finitezza dal ritmo della nostra quotidianità.

Forse per questo motivo con i giovani tendiamo a eludere l’argomento, persino a occultarlo a volte: in fin dei conti, il passaggio educativo reclama un forte confronto con noi stessi.

Così avviene che, frequentemente, i ragazzi si avventurino in ricerche personali e intraprendenti per poter dare risposte a domande difficili, spesso inaccessibili a noi esseri umani, sulla fine e sul senso della vita. L’idea della morte, poi, può avere anche un suo fascino, saper sedurre chi vi si approcci attraverso una “mediazione” alterata, o mistificata. È un catalizzatore di emozioni e può apparire persino come un approdo salvifico, o uno “specchio nero” attraverso il quale mettersi alla prova,  filtrare le proprie insicurezze.

Cercando contenuti violenti e mortiferi, molti giovani e giovanissimi si infilano in gruppi social in cui sono trattati argomenti legati al suicidio, al satanismo, all’horror. Avere accesso a certi temi non è difficile, basta servirsi di determinati hashtag. A guidare questo istinto di trasgressione e autolesivo, è spesso la componente adrenalinica, la “sensation seeking”, ovvero la tendenza e la ricerca di emozioni nuove, inesplorate. Il cuore batte forte, un brivido corre lungo la schiena, le gambe si irrigidiscono e la testa vacilla. Queste “prove” rinforzano il proprio ruolo sociale, dimostrano a sé stessi e agli altri il proprio valore.

Non è da sottovalutare, poi, il fatto che il lato oscuro dell’esistenza nasconda demoni che paradossalmente potrebbero apparire come “consolatori” a chi soffre e si sente solo, o non compreso.

Può capitare, purtroppo, che la morte evochi giochi o rituali fra gli adolescenti, come nel caso della “Planking challenge”, ultima folle sfida segnalata in alcune località della Toscana, secondo la quale i partecipanti devono attraversare di corsa una strada particolarmente trafficata senza guardare né a destra né a sinistra, mentre alcuni coetanei riprendono la scena con lo smartphone.

Black out”, “Chocking game“, “Pass-out game“: sono nomi differenti per un unico gioco che prevede l’occlusione della carotide fino al soffocamento. Un secondo in più, o in meno, separa la vita dalla morte e proprio quel secondo diventa lo spazio dello propria autostima. Lo “Skullbreaker challenge“, invece, vede la vittima al centro e altri due ragazzi ai lati che, fingendo di saltare, lo fanno in realtà cadere rovinosamente con la schiena per terra.

Spesso queste sfide attingono dal mondo dei videogiochi ed è un aspetto non trascurabile. I nostri adolescenti, lasciati troppo a lungo a “intrattenersi” con la “morte virtuale”, magari pensano di gestire quella “reale” digitando i tasti giusti o sfilando dalla manica la mossa più veloce? La domanda è inquietante, ma non priva di fondamento.

Infine, ad aggravare lo scenario troviamo l’insidia della banalizzazione: tutto è spiegato, tutto è banale. La morte, in fondo, è parte di un ciclo e noi stessi siamo dentro a quel giro fatale. E allora a infondere coraggio per compiere atti estremi è il cinismo, primo alleato di una adolescenza sofferente, anestetico potente e antidoto efficace nella prevenzione di ogni tipo di sentimento che ci possa rendere più fragili e, quindi, umani.

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Fonte: Sir