Femminicidi. Rizzi: “Dare voce a un popolo intero che è spaventato da questa violenza cieca”
“In Italia, troppe donne non hanno aiuto gratuito per ridurre il disagio psichico dovuto a relazioni disfunzionali o violente. I costi elevati del supporto psicologico, le liste d’attesa interminabili, i carichi familiari e lo stigma sociale impediscono ancora troppo spesso di trovare aiuto”: per ovviare a questo nasce la campagna lanciata da Soleterre. Abbiamo sentito il suo presidente

“Il supporto psicologico può liberare una vita”:
con questo slogan la Fondazione Soleterre lancia l’iniziativa “Diritto alla voce” che consente di donare una seduta psicologica a una donna in difficoltà. “In Italia, troppe donne non hanno aiuto gratuito per ridurre il disagio psichico dovuto a relazioni disfunzionali o violente. I costi elevati del supporto psicologico, le liste d’attesa interminabili, i carichi familiari e lo stigma sociale impediscono ancora troppo spesso di trovare aiuto”, spiega Soleterre, che “crede che il supporto psicologico sia un diritto e lavora ogni giorno per rimuovere ogni barriera al suo accesso reale attraverso una Rete nazionale di psicologhe e psicologi che offrono ascolto e sostegno alle donne che ne hanno necessità. Aiutandole, anche nelle relazioni violente, a riconoscere le disfunzionalità promuovendo percorsi di inclusione sociale e indipendenza economica. A ritrovare la libertà che è propria di ogni diritto”. Damiano Rizzi, fondatore e presidente di Soleterre, ha particolarmente a cuore questo progetto e ce ne parla subito appena gli chiediamo di affrontare un tema purtroppo sempre di attualità, come dimostrano i recenti casi di Sara Campanella e Ilaria Sula: i femminicidi. Rizzi è psicoterapeuta dell’infanzia e adolescenza e genitore adottivo di un orfano di femminicidio, il figlio di sua sorella Tiziana, uccisa nel 2013 da marito. “La mia esperienza – dice – non è un caso privato. È un pezzo di realtà che chiede di essere riconosciuto, ascoltato, tradotto in politiche pubbliche”.
Ogni volta che viene uccisa una donna diciamo giustamente mai più femminicidi, ma poco dopo arriva un’altra notizia uguale. Perché non riusciamo invertire la rotta?
È la domanda centrale: per invertire la rotta bisogna mettere in campo un piano d’azione molto più forte di quello che è stato fatto finora. Questa forza non deve essere vista come forza della legge con pene più dure. C’è questa mentalità dell’intervenire troppo dopo, ma anche la pena più dura data all’assassino non serve a niente, non restituisce la vita. Credo che sul tema del femminicidio occorra innanzitutto studiare e ascoltare le vittime, capire che cosa succede.
Non è immaginabile – e questo è sempre accaduto, quindi non è un problema del governo attuale, ma è un problema dei governi che nel tempo si sono succeduti – che sia dia la risposta facile e veloce a un problema così complesso.
Alcuni Paesi, penso alla Spagna e all’Inghilterra, hanno affrontato in maniera sistemica il tema del femminicidio e sono riusciti a contenere il fenomeno. Dal punto di vista giuridico, hanno creato delle sezioni speciali dove i femminicidi vengono trattati come casi speciali, come è accaduto per i casi di mafia in Italia, con risarcimenti per le vittime.Dal mio punto di vista, credo che manchi all’interno della cultura italiana, ma soprattutto rispetto al diritto alla salute, una figura che potremmo chiamare lo psicologo di base, che segua le famiglie fin dall’inizio e sin da quando nasce un bambino.
Se i genitori potessero rivolgersi, oltre che al pediatra, a una figura come lo psicologo di base pagato dal Sistema sanitario nazionale noi avremmo la possibilità di iniziare a creare cultura delle relazioni, cultura delle emozioni, cultura di come si sta tra uomo e donna. Da noi manca completamente l’educazione sessuale, non solo sentimentale.
Il problema è connesso a un problema culturale e al disagio mentale?
In Italia non c’è nulla di pubblico per quello che riguarda la salute mentale. È tutto nelle mani dei privati: le persone che hanno soldi possono pagarsi lo psicologo, le altre no. Non è banale questo aspetto perché la persona che uccide è una persona che sta male.
Io non ho mai visto persone che stanno bene che uccidono. Chi sta male può uccidere. I grandi assenti sono gli uomini, eppure sono loro che uccidono.
Per gli uomini è assolutamente normale trattare la donna come un oggetto, ad esempio nella comunicazione vediamo che c’è sempre una donna quando nelle pubblicità si vuole vendere un telefono o un’automobile, c’è la trasformazione di un essere umano in un oggetto di possesso. E non solo. Oggi il 15% delle ragazze tra i 15 e i 18 anni dice che il sogno è essere mantenute da un uomo ricco: questo dimostra che sono forme di patriarcato molto radicate nella cultura.
Quando avviene un femminicidio è una tragedia che colpisce tutta la famiglia…
A soffrire non sono solo le vittime, ci sono i loro familiari.
Non si può contrastare un fenomeno strutturale come il femminicidio senza ascoltare chi lo ha subito, chi ha perso una madre, una figlia, una sorella. Le vittime dirette e indirette non sono testimoni muti. Sono portatrici di una conoscenza insostituibile.
Il supporto psicologico non è un’opzione accessoria. Non è una prestazione da mercato. È un diritto fondamentale di salute, che deve essere garantito e reso accessibile. Nel nostro Paese, persino gli orfani di femminicidio devono pagarsi la psicoterapia. Bambini e adolescenti privati della madre per mano del padre, abbandonati anche dalle istituzioni. Hanno istituito il fondo per gli orfani di femminicidio che dovrebbero avere attraverso il Sistema sanitario nazionale la psicoterapia, ma il Sistema sanitario nazionale ha liste di attesa di anni. L’80% dei bambini e adolescenti, con genitori, in Italia non ha possibilità di accesso gratuito al supporto psicologico. Nel caso, poi, degli orfani di femminicidio si tratta di bambini che spesso hanno assistito e hanno perso il padre in prigione e la madre è morta. Si tratta anche di bambini presi a martellate, con problemi neurologici che non hanno la possibilità di accedere gratuitamente al supporto psicologico. Non stiamo parlando solo delle donne morte, dunque, c’è il problema di non riuscire a vedere l’ampiezza del fenomeno femminicidio. Ci sono familiari che non vengono neppure ascoltati, spesso le vittime vengono invitate a non denunciare.
Soleterre ha lanciato un progetto.
Noi abbiamo lanciato la campagna “Diritto alla voce”, che significa dare delle sedute gratuite a delle donne che devono avere il diritto di parlare, perché non le ascolta nessuno.
Anche se non c’è niente, non dobbiamo disperarci, dobbiamo costruire. In una seduta gratuita la donna può finalmente parlare, chi l’ascolta raccoglie il suo grido e inizia a smuoversi qualcosa. Dobbiamo dare voce a un popolo intero che è spaventato da questa violenza cieca. Tutti abbiamo figli e figlie, siamo tutti coinvolti in questa situazione, non solo le vittime. Se circa ogni 3 giorni viene uccisa una donna, dal 2019 ad oggi in Italia sono state uccise quasi 700 donne, non possiamo stare tranquilli. Vediamo che le vittime si fanno carico dei problemi, creano associazioni per dare qualcosa alle altre vittime. Il peso è sulle spalle delle vittime.
Ci sono donne più a rischio di altre?
Il femminicidio è un fenomeno che riguarda tutte le età, tutti i redditi e tutti i livelli culturali, con le lauree e senza lauree, tutte le fasce sociali.
Non è un tema legato a particolari condizioni, è un tema culturale di rapporto uomo-donna che è nato con la scoperta dell’aratro, perché allora si è spostato completamente il rapporto di produzione che viene basato sulla forza fisica. Così si è spostato il potere.
Come si possono aiutare le donne?
Educando gli uomini si possono aiutare le donne. Gli uomini devono iniziare a cambiare testa e cultura.
La maggior parte delle donne vittime di violenza non può vedere questa violenza, perché è parte integrante della stessa vita. Basti pensare che oggi stiamo normalizzando la guerra… Dentro una relazione anche violenta, la violenza si normalizza per mille motivi: per andare avanti, perché ci sono figli, perché si è mogli, perché lasciare il marito sta male… Chi è dentro una relazione fa molta fatica a vedere. Ma se si inserisce nelle relazioni la figura di un terapeuta la situazione può cambiare in meglio. Per questo riteniamo che i terapeuti devono essere trovati facilmente, gratuitamente. Se diventa normale avere un rapporto con un terapeuta, quando le relazioni vanno male sarebbe semplici rivolgersi allo specialista.
Le famiglie possono aiutare?
Le famiglie hanno sempre un ruolo, però è molto complicato entrare nelle relazioni, perché c’è un ambito privato, intimo, dove è molto complicato entrare se l’altro non lo permette.
Per questo bisogna creare a livello sistemico, a partire dalla nascita, la familiarità con figure che sono specializzate a fare in modo che si prevengano gli episodi, che si impari a stare insieme.
Si tratta di mettere in relazione se stessi in maniera autentica oppure fingere. Il ruolo del maschio è un ruolo purtroppo di un individuo prepotente, a causa anche dell’inequa distribuzione degli stipendi, dell’ascensore sociale, sente sulle spalle il peso del mantenimento della famiglia che è ancora tutto spostato sull’uomo. I movimenti emancipatori sono quelli che rendono accessibili anche per il mondo femminile vari settori. Non siamo in un periodo di comprensione e di ascolto. Il contesto attuale è conflittuale, si fa la guerra e ne vediamo le ricadute nelle aree in cui lavoriamo: con la guerra aumentano gli episodi di violenza di genere, perché la violenza chiama altra violenza, la slatentizza, la rende praticabile.
Lei ha adottato un bambino orfano di femminicidio…
Il figlio di mia sorella, uccisa dal marito nel 2013, che ora è diventato mio figlio. Ci sono voluti molti anni per adottarlo, questo dovrebbe far capire come lo Stato sia su un altro pianeta rispetto ai femminicidi. E lo dico con grande dispiacere, perché lo Stato non è un’entità astratta, manca la politica, manca l’attenzione, che banalmente può voler dire anche una telefonata da parte di una figura istituzionale. E non solo nel caso che ha colpito la mia famiglia. Proprio avendo vissuto il dramma in prima persona, voglio mettere a disposizione la mia esperienza per cambiare le cose. Riunire le vittime, ascoltarle.
Il Governo dovrebbe creare un tavolo di ascolto di tutte le vittime per avere un campione rappresentativo di quello che succede e garantire alle famiglie di avere un supporto psicologico gratuito specializzato.
Dobbiamo inoltre considerare un altro aspetto: non ci sono solo le famiglie della vittima, ma anche le famiglie di colui che ha ucciso che rimangono per sempre cambiate da quel gesto. Non è tutti quelli che uccidono vengono da cattive famiglie. È un tema talmente grande che per affrontarlo ci vuole tempo, pazienza e risorse e in questo momento non ci sono. Si fanno piccole cose importanti per qualche donna e bambino, ma altro è adempiere al dovere istituzionale di proteggere una comunità garantendo il diritto alla salute e alla sicurezza.
C’è il dovere di dare salute gratuita ai cittadini e il dovere di proteggerli da uomini che uccidono le loro donne, da padri che uccidono le madri dei loro figli.
La portata è enorme.