Francesco d’Assisi sfida ogni nostra morte

Rimanevano a terra con il corpo del santo, le domande di chi invece restava in vita: «Ora che facciamo? Cosa ne sarà di noi? Chi verrà dopo di lui?...». Al tramontar del sole del 3 ottobre 1226 nasceva al cielo San Francesco d'Assisi, venerato dalla Chiesa il 4 ottobre.

Francesco d’Assisi sfida ogni nostra morte

«Ho fatto il mio dovere…». «Ben venga mia sorella morte!». «… Lasciatemi giacere così, per il tempo che ci vuole a percorrere comodamente un miglio di strada».

Erano tra le 18 e le 19 del 3 ottobre 1226, e dato che nel medioevo il giorno nasceva col tramontar del sole, la storia ricorda la data del 4 ottobre. Queste devono essere state le ultime parole di Francesco di Assisi: poche, biascicate e scolpite nella memoria dei testimoni di una “vita esplosiva” che invece stava mostrando in quegli ultimi istanti un’implosione, dall’esterno verso l’interno del corpo di Francesco, nudo a terra come aveva chiesto.

Rimanevano a terra con il corpo del santo, le domande di chi invece restava in vita: «Ora che facciamo? Cosa ne sarà di noi? Chi verrà dopo di lui?...». Erano i dubbi dei suoi figli “minores”, posti dinnanzi alla morte del grande padre e madre: «I frati siano madri e figli l’uno per l’altro», fu il diretto ammonimento di Francesco riportato nelle Fonti francescane.

A fare da sfondo, ancora lei: l’amata semplice Porziuncola, porzione di mondo che contiene tutto un mondo Francesco che conosceva il significato e valore della gestualità, si appropria così dei suoi ultimi istanti di vita, spogliando ma non sfidando la morte stessa. Non muore da grande santo, ma ci lascia da semplice creatura. È un povero Cristo deposto da una croce che gli manca. Un calvario che non ha. E un sepolcro incerto. Unica certezza, la morte prossima: colei che non manca mai all’appuntamento con ogni creatura vivente. Francesco è lì ad attenderla, sussurrando ai suoi: «Io ho fatto il mio dovere…» con l’ultimo filo di voce che gli restava in terra. Riconosce d’aver fatto la sua parte. Adempiuto così alla sua missione. Vissuto il suo tempo.

«La cosa peggiore per ogni essere umano è giungere in punto di morte e accorgersi di non aver vissuto!», dirà il poeta americano Thoreau molti secoli dopo, ricordandoci che verrà il momento in cui ci sarà chiesto come abbiamo speso i talenti della nostra esistenza?

«Ben venga mia sorella morte!», sono parole così grevi da far tremare solo nel pronunciarle. Terribili e dolci al tempo stesso. Ossimoro e pietra d’inciampo nel tempo ultimo dell’esistenza. Chiamare la morte “sorella”? Neppure Cristo osò tanto. Chissà quanti di noi avranno il coraggio di ripeterle in punto di morte? Auguriamocelo, ma con timore e fremito.

«Lasciatemi giacere così, per il tempo che ci vuole a percorrere comodamente un miglio di strada», eccolo l’ultimo Francesco terreno. Eccola l’espressione più tenera che usa per chiede assicurazioni finché le sue povere membra trovino “pace” (aveva 44 anni), almeno per la durata che serve per percorre a piedi un miglio di strada (cioè poco meno di due chilometri a passo lento).

Non è dato capire perché esterni questo desiderio: forse un’ultima corporale sapendo a cosa sarebbe andato incontro il suo corpo venerato, che rischiava anche d’essere fatto oggetto di riscatto da parte dei perugini. Avrà temuto d’essere smembrato, cosa che invece non è mai avvenuta.

Nessuna parte del suo corporale in otto secoli di sepoltura è mai stata violata. E il fatto di dire “mai” non ha precedenti per nessun altro santo conosciuto.

Non c’è quindi alcuna reliquia ex-corpo o ex-cute di Francesco. Quel corpo non si tocca e non si deve toccare, sembra ripeterci la storia. Se ciò è avvenuto fino a oggi, lo possiamo immaginare come un miracolo distintivo. Nonché una valida risposta sull’effimera “gloria” millantata di continuo dalla morte di sempre.

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