Nuovo piano energetico regionale. Il Veneto insiste sul fotovoltaico. Poche chance per idroelettrico e biomassa
Approvato con una “dote” di 8,7 miliardi di euro di investimenti per promuovere la produzione e l’utilizzo delle fonti rinnovabili. Con due secchi “no” alle trivelle e al nucleare. Poche chance per idroelettrico e biomassa. Criticità nell’individuare le zone per gli impianti a energia solare. Dubbi sui tempi: «Con questi ritmi avremo ritardi»

È stato approvato il 18 marzo dal Consiglio regionale del Veneto il Nuovo piano energetico regionale (Nper) che dota la Regione di un documento che detta le linee per promuovere la produzione e l’utilizzo delle fonti rinnovabili e coordina tutte le iniziative che mirano alla riduzione dei consumi energetici. La proposta di deliberazione della Giunta ha incontrato i voti favorevoli dei consiglieri di maggioranza e l’astensione delle forze di minoranza, segno che sul tema energia le posizioni tra i banchi a Palazzo Ferro Fini sono meno lontane che su altre questioni. Secondo l’assessore all’Energia e allo sviluppo economico, Roberto Marcato, il nuovo piano prepara il Veneto ad affrontare le sfide energetiche con meno rischi rispetto al passato perché in grado di garantire una maggiore quantità di energia autoprodotta e pulita. Quattro i punti forti del Piano energetico, secondo l’assessore: incremento delle fonti rinnovabili, riduzione delle emissioni inquinanti, maggiore efficienza energetica e introduzione dell’idrogeno verde. Nella previsione della Giunta veneta, il Nper è sostenuto da 8,7 miliardi di euro che, secondo stime dell’associazione artigiani Cgia di Mestre, potrebbero avere ricadute per quasi 19,7 miliardi e attivare fino a 107 mila addetti. I segnali più evidenti arrivano soprattutto dalla rotta indicata – la strada per lo sviluppo dell’energia da fonti rinnovabili prodotta in Regione deve aumentare – e da due “no” chiari alle trivelle nel mar Adriatico e al nucleare. «La direzione è giusta perché chiara è l’indicazione di spingere sulle fonti rinnovabili, il fotovoltaico in particolare per il quale vanno trovate aree sufficientemente ampie per grandi impianti, ma la strada da fare è tanta – sostiene Federico Zanon, ingegnere ambientale collaboratore di AsVess, l’associazione veneta per lo sviluppo sostenibile – Anche se dal Ministero c’è apertura al nucleare di nuova generazione, che non è alla portata di tutti e lascia aperti molti interrogativi, la Regione sembra chiudere ogni discorso rispetto a questa possibilità, così come all’ipotesi di riprendere le trivellazioni nel mar Adriatico. Perciò è evidente l’attenzione alle fonti energetiche rinnovabili, rispetto alle quali le criticità vanno valutate oggettivamente. La decarbonizzazione è la realtà e vanno trovate strade anche per una chiarezza narrativa che faccia maturare una maggiore consapevolezza rispetto a scelte necessarie». Secondo Zanon, visto che in Veneto non ci sono possibilità di sviluppi sostanziosi per l’idroelettrico perché «bisogna tener conto della variabilità delle precipitazioni e l’impatto del cambiamento climatico», che l’energia da biomassa risente «dell’obsolescenza degli impianti residenziali domestici, della limitata diffusione di impianti di teleriscaldamento, della scarsa sostenibilità economica dei grandi impianti, dell’impatto delle emissioni in atmosfera e del problema di sfruttare in modo sostenibile la risorsa forestale», la strada più sicura passa per l’utilizzo dell’energia solare fotovoltaica. «Il cuore di tutta la questione è l’identificazione e la regolamentazione delle aree idonee e il dimensionamento degli impianti e gestione dei sistemi di accumulo».
«Finalmente c’è una programmazione, ottenuta con una consultazione preliminare, per lo sviluppo energetico regionale. E arriva uno stop chiaro alle trivellazioni e alle ipotesi per la fissione nucleare e ci auguriamo sia un messaggio per il Governo nazionale. Le note liete finiscono qui perché sono diverse le problematicità» sottolinea criticamente Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto e nel consiglio direttivo di AsVess. Il ritmo per raggiungere quanto previsto dal Piano comporterà un ritardo di quasi quattro anni: «Per arrivare entro il 2030 a 5.828 megawatt di nuova potenza rinnovabile installata dovremmo realizzare almeno 4.139 megawatt di nuova potenza in cinque anni. Ma se l’andamento rimarrà quello registrato fino a oggi, l’obiettivo al 2030 di 4.139 megawatt lo raggiungeremo in otto-nove anni».
Secondo Lazzaro gli obiettivi individuati dal Nper sono poco sfidanti visto che il Piano tarato al 2030 non «dà un orizzonte temporale agli investitori per programmare e non inquadra con il giusto ampio respiro tutti gli obiettivi di decarbonizzazione». La critica del presidente di Legambiente approfondisce alcuni passaggi del Piano non ancora definiti. «Le tabelle conclusive del Piano non specificano come le cifre indicate andranno spese nei progetti. Una falla che rischia di diventare uno squarcio quando verranno varate le leggi regionali sulle aree idonee all’installazione delle energie rinnovabili. Per il fotovoltaico si dice che sarà fatto prioritariamente sui tetti, ma i target saranno raggiunti in questo modo visto che molti dei tetti industriali o artigianali, e anche molti tetti di condomini e abitazioni, non sono adeguati a ospitare impianti?». Il problema si pone secondo Lazzaro per il fatto che la Regione prevede la maggior parte degli impianti fotovoltaici a terra in aree marginali (parcheggi, discariche, cave) e il 35 per cento della nuova potenza fotovoltaica ricavata in fascia autostradale, mentre una Legge regionale del 2022 blocca gli impianti di fotovoltaico un po’ ovunque attraverso l’individuazione delle cosiddette “aree di pregio agricolo” da identificare a carico di Comuni e Province che stanno definendo in questo modo oltre il 90 per cento dei loro territori. Proprio gli enti locali, secondo Luigi Lazzaro, dovrebbero promuovere una corretta informazione sul tema delle rinnovabili per far fronte alle contestazioni che ci sono in Veneto come in tutta Italia. «Al momento però pare che preferiscano muoversi in ordine sparso, spesso succubi degli umori del momento, delle ideologie e di poco realistiche posizioni dei contestatori professionisti, probabilmente alimentati dalla lobby delle fossili, che cercano in ogni modo di frenare la transizione verso le fonti rinnovabili in favore della restaurazione del modello energetico del passato».
2024, l’anno più caldo mai registrato. Anche in Veneto
Il 2024 è il nuovo anno più caldo mai registrato in Veneto almeno dal 1955. La rilevazione emerge da Meteo e clima 2024, il rapporto di Arpa Veneto. L’anomalia rispetto al periodo 1991-2020 è mediamente più 1,44 °C, con valori più elevati su Alpi, Prealpi e pianura orientale e costiera. Gli ultimi tre anni sono i più caldi della serie storica. Si conferma e incrementa il trend trentennale di aumento delle temperature medie che da più 0,57 °C per decennio, fino al 2023, balza a più 0,65 °C per decennio nel 2024. Le notti tropicali sono state quasi quattro volte più numerose in pianura rispetto alla norma 1991-2020 con ben 49 giorni contro una media di 13 giorni. Per le precipitazioni, il 2024 segue il 2014 e supera di poco il 2010 posizionandosi così al secondo posto tra i più piovosi dal 1992. A livello regionale il surplus è di circa 450 mm, pari al 40 in più rispetto alla norma.
Comunità energetiche rinnovabili, la carica delle 73
Le Comunità energetiche rinnovabili sono un perno cardine del Piano energetico regionale. Dopo anni di stallo per la mancanza di decreti attuativi a livello nazionale, il Veneto, a metà 2023, ha approvato una propria legge per favorirle e stando ai dati di inizio marzo, del Gse, il Gestore dei servizi energetici, la scelta sta trovando risposte “sul campo”. In Italia si contano 744 fra Cer, autoconsumatori individuali a distanza (un unico utente che utilizza l’energia solare di un unico impianto su due edifici, per esempio due capannoni in due luoghi distinti) e Gruppi di autoconsumatori (i condomini). Di queste, ben 73 sono venete, circa il 10 per cento del totale nazionale, e sprigionano una potenza energetica pari a 12,75 megawatt, che sul totale nazionale di 103 megawatt è, però, ben più del 10 per cento. La Lombardia ha 104 impianti, la Sicilia 102.
Lo scenario, le scelte. La geopolitica preme sui combustibili fossili
L’approvazione senza voti contrari della Proposta di deliberazione n. 84, di iniziativa della Giunta sul Nuovo piano energetico regionale è stata salutata con soddisfazione dall’assessore Roberto Marcato che ricorda l’accoglimento dell’84 per cento delle 95 osservazioni presentate e la discussione in aula di cento emendamenti. Significativo per esempio l’accoglimento dell’emendamento della consigliera Elena Ostanel per l’impegno a dare priorità agli interventi di efficientamento energetico sugli alloggi di edilizia residenziale pubblica in particolare dell’Ater. Un lavoro di due anni che ha visto la collaborazione di quattro Aree organizzative regionali, dell’Arpav, del Comitato tecnico strategico e di altri enti e imprese per un Piano nel quale il segno meno indica traguardi positivi. Il Veneto punta a ridurre la dipendenza energetica dal 50 per cento attuale al 34 per cento entro il 2030, a ridurre i consumi del 10 per cento rispetto al 2019, a ridurre le emissioni di Co2. Sottolinea Roberto Marcato: «Il Veneto non parte da zero. Siamo secondi in Italia per numero di impianti in esercizio (228.013) e terzi per potenza fotovoltaica installata (3.168 megawatt), ai primi posti per energia da idroelettrico, secondi per energia da fonte geotermica. Nelle cento azioni previste, tra le quali il potenziamento delle infrastrutture energetiche, il trasporto green, interventi di efficientamento energetico, il sostegno a ricerca e innovazione nel campo della transizione energetica, l’incentivo alle Comunità energetiche rinnovabili, la creazione di una filiera veneta dell’idrogeno, non c’è riferimento alle trivelle perché il Veneto è anche territorio da proteggere». Aspetti migliorativi da adottare ce ne sarebbero ancora. Non è stata accolta per esempio la proposta del biglietto unico per il trasporto integrato regionale, che favorirebbe l’uso di mezzi su gomma e treno per studenti e pendolari. Non sono state definite con precisione le aree idonee ai grandi impianti fotovoltaici a terra e questa incertezza lascia spazio alla possibilità di province e comuni di limitare l’espansione del fotovoltaico. Ma in una fase politica internazionale nella quale anche il Green deal europeo viene messo in discussione vale la pena di sottolineare gli aspetti positivi: «Il Piano energetico regionale va valutato positivamente anche se non è troppo ambizioso perché bisogna tener conto del contesto geopolitico internazionale caratterizzato da una forte spinta al ritorno ai combustibili fossili – sintetizza Matteo Mascia, coordinatore dell’AsVess – Sono state recepite diverse osservazioni, si è posto al centro il fotovoltaico, per uno sviluppo economico sostenibile, ed è una scelta che speriamo possa aiutare a superare l’inerzia mentale di imprese e cittadini e rilanciare piani per la mobilità sostenibile, il passaggio all’auto elettrica e l’efficientamento degli edifici. Dalla transizione devono arrivare benefici per tutti, per una qualità della vita e opportunità condivise».
Biglietto unico, un’occasione sprecata
«La proposta di biglietto unico è nei documenti di mandato del presidente Zaia dal 2015, ma ne aveva parlato anche in precedenti interviste, sottolineando come il biglietto unico fosse una delle priorità per migliorare il sistema di trasporto pubblico in Veneto – spiega Elena Ostanel, del gruppo Il Veneto che vogliamo – E così l’assessore de Berti aveva più volte parlato di sperimentazioni che sarebbero servite ad arrivare al biglietto unico su tutto il territorio regionale. Ma dopo che Il 21 febbraio 2022 la Regione Veneto ha avviato la sperimentazione semestrale del biglietto unico integrato VeneziaVerona, se ne sono perse le tracce. Per questo, la bocciatura del mio emendamento al Piano energetico regionale che chiedeva di passare dalla sperimentazione all’attuazione vera e propria del biglietto unico, a partire dai più giovani, fa pensare che le sperimentazioni effettuate non siano servite a nulla e anche questa legislatura scorrerà senza che tale obiettivo sia raggiunto».