Ue, migrazioni, rimpatri. Le obiezioni di Ambrosini a Europa e Italia
Lo studioso dell'Università di Milano, editorialista di "Avvenire", segue passo passo le decisioni italiane ed europee per far fronte al fenomeno migratorio. Non di rado solleva le sue obiezioni, con un occhio di riguardo per il rispetto dei diritti umani. Sulla recente proposta della Commissione Ue sui rimpatri parla di una "Guantanamo europea"

“I rimpatri sono il tallone d’Achille delle politiche di contrasto dell’immigrazione irregolare”. Maurizio Ambrosini, sociologo, docente all’Università degli Studi di Milano, è uno dei maggiori esperti in Italia sul fronte delle migrazioni. Da anni studia il fenomeno demografico e sociale degli spostamenti di popolazione nel mondo, con uno sguardo particolare sull’Europa. Dedica inoltre – sia nei suoi studi e nelle lezioni accademiche, sia dalle pagine del quotidiano “Avvenire” – un’attenzione puntuale alle normative e alle azioni politiche che cercano di affrontare le migrazioni. Sulle quali mostra spesso le sue perplessità.
Ancora di recente ha sottolineato i modestissimi risultati delle politiche europee circa i rimpatri dei migranti che giungono nell’Ue
e non ha risparmiato una serie di precise osservazioni sulla recente proposta della Commissione Von der Leyen per la riforma della Direttiva del 2008 sui rimpatri, che, come noto, introduce la possibilità di allestire centri di detenzione per gli immigrati da rimpatriare – i cosiddetti “return hubs” – in Paesi terzi. Una scelta, questa, che apre parecchi interrogativi sulla definizione di Paesi “sicuri” in cui spedire i migranti e circa la tutela dei diritti fondamentali e del rispetto del principio di non refoulement, il quale vieta di “trasferire delle persone in Paesi dove potrebbero subire violenze o trattamenti degradanti”.
A questo proposito Ambrosini ha parlato di “una sorta di progetto Guantanamo all’europea”. Ma, a differenza del caso americano (Guantanamo resta sotto l’autorità Usa), coi “return hubs” in Paesi terzi si consegnano persone, magari soggiornanti da anni nell’Ue ad autorità di Stati esterni. “Non si vede come si potrà poi controllare il loro operato, una volta che l’Ue li avrà pregati di gestire per suo conto la spinosa partita della detenzione e dell’eventuale rimpatrio dei migranti sgraditi. L’esempio libico dovrebbe suonare da monito”.
Ambrosini fra l’altro ha criticato sin dall’inizio le ricollocazioni (qualcuno dice deportazioni) dei migranti dall’Italia all’Albania.A suo avviso ora, con la trasformazione di uno dei due centri allestiti nel Paese delle Aquile in Cpr, il progetto italiano non si allineerebbe con l’Unione europea.“L’Italia – ha scritto su Avvenire – mantiene infatti la giurisdizione sui centri realizzati sul territorio albanese, senza delegarne la gestione alle autorità locali, e senza che l’Albania sia definita come un Paese terzo di destinazione degli immigrati espulsi. Pertanto dall’Albania non sono previsti dei rimpatri. In caso di accordi con i Paesi di provenienza, i malcapitati dovrebbero essere riportati in Italia, titolare degli accordi, per essere poi rimandati nel loro Paese”. Non è neppure chiaro, secondo il sociologo, cosa ne sarà “di coloro che, al termine della detenzione, anche allungata a 24 mesi come prevede la nuova bozza europea, non saranno stati rimpatriati e dovranno essere liberati”.+
La gestione dell’immigrazione irregolare – riconosce Ambrosini – è “una questione spinosa”, ma a suo avviso esistono strumenti per affrontarla:
“Ritorni volontari assistiti, regolarizzazioni mirate al lavoro, sponsorizzazioni da parte di soggetti affidabili. Non servono invece – a suo dire – misure che, pur di illudere l’opinione pubblica di aver trovato la soluzione, si accingono a consentire la violazione dei diritti umani, aggravano i costi per l’erario, rendono i governi europei più ricattabili da parte dei partner esterni, e probabilmente neppure otterranno i risultati auspicati”. Obiezioni alle quali sarebbe interessante – forse necessario – fornire convincenti spiegazioni.