Donald Trump torna alla Casa Bianca. Quattro anni tutti da decifrare
Donald Trump torna alla Casa Bianca Lunedì 20 gennaio l’insediamento, preceduto da una serie di dichiarazioni sorprendenti. Tonello: «Non attendiamoci nulla di buono»

Lunedì 20 gennaio inizia quindi la seconda “era Trump” per gli Stati Uniti e per il mondo. Cosa aspettarsi dai prossimi quattro anni? «Niente di buono – sintetizza con una battuta il prof. Fabrizio Tonello, docente di Scienza politica all’Università di Padova con un passato alla University of Pittsburgh e alla Columbia University.
Professore, quindi c’è del pessimismo nell’inquadrare l’orizzonte politico a livello mondiale? «Dobbiamo essere pessimisti. Per il pericoloso mix di autoritarismo e irresponsabilità rappresentato da Donand Trump».
Prima ancora del suo insediamento, Trump ha rilasciato dichiarazioni stupefacenti e molto preoccupanti. Come possiamo decifrarle?
«Ho l’impressione che molte delle uscite del nuovo presidente degli Usa, soprattutto in merito alle questioni di politica estera, siano delle fanfaronate. In primo luogo perché Trump è un narcisista ignorante in modo particolare rispetto ai temi che riguardano la politica estera. Non avanza perciò proposte o minacce realistiche. Malgrado l’imperialismo sia un tratto ricorrente della politica statunitense, non vedo come opzioni concrete né l’invasione della Groenlandia né l’annessione del Canada. Nemmeno l’idea di portare l’inferno a Gaza nel caso in cui non venissero liberati gli ostaggi israeliani pare avere basi realistiche, tra l’altro a portare l’inferno a Gaza ci ha già pensato Israele e non servono le bombe americane. Diversa la valutazione da fare in materia economica».
Trump ha minacciato di alzare la barriera protezionista dei dazi, un’arma che spesso utilizza per alzare la posta nelle sue intenzioni. «Qui le prospettive sembrano più concrete, perché nella guerra commerciale Trump e i suoi hanno sempre accarezzato l’idea di imporre il primato economico americano anche a colpi di dazi».
Come sono arrivati gli elettori statunitensi a confermare la fiducia a un candidato di cui hanno sperimentato un mandato e che non mai ammesso la sconfitta del 2021?
«Le elezioni sono state molto condizionate da un risentimento storico degli elettori nei confronti delle élite del Paese. Un risentimento che non svanirà con Trump e i suoi accoliti, che rappresentano una parte significativa di quella minoranza di privilegiati che gli elettori volevano “punire”. Nel corso della campagna elettorale, molto sentito e dibattuto è stato il tema dell’inflazione che, però, si misura sulla vita precaria di milioni di americani a basso reddito. Secondo rilevazioni recenti, il 40 per cento delle famiglie americane non sarebbe in grado di sostenere spese improvvise per 400 dollari, meno di 400 euro. Significa che molti non sono in grado di pagarsi la riparazione dell’auto con la quale vanno al lavoro o una visita dal dentista. È una precarietà delle condizioni materiali diffusa che non troverà risposte “cambiando cavallo”. Non saranno certo né Trump né Musk a trovare risposte ai problemi delle classi sociali meno ricche. Quello del presidente, e di Musk e di Bezos e di tutti quelli che attorniano Trump, è un capitalismo di rapina che mira solo ad arricchirsi ulteriormente e non a cambiare le condizioni materiali dei lavoratori. Inoltre hanno dimostrato una capacità di controllare il discorso pubblico molto grande attraverso l’uso spregiudicato dei mezzi di informazione».
Ci aspettano quindi quattro anni impegnativi per le scelte del presidente dello Stato più influente al mondo?
«Mi aspetto che nel giro di due anni il malcontento dei lavoratori a basso reddito cresca e porti a un cambio di guardia al Congresso, dove la maggioranza repubblicana è risicata. Ma nemmeno nei primi due anni Trump avrà del tutto mano libera, perché né deputati né senatori sono disponibili ad autoescludersi dai processi decisionali. Pare certo che a subire le scelte dell’amministrazione Trump negli Usa saranno in particolare le fasce deboli, a cominciare dagli immigrati che pagheranno la crudeltà della classe politica di cui Trump è capofila. Sia gli immigrati che vorrebbero entrare negli Usa che quelli che vi vivono e subiranno discriminazioni».
E l’Europa? In questa fase sembra piuttosto attendista.
«L’Europa dal punto di vista politico è scomparsa. La Commissione von der Leyen si è svenata per aiutare l’Ucraina, un Paese attaccato da uno Stato estero, e non ha speso un cenno di deplorazione per le dichiarazioni di Trump che ha minacciato di invadere un Paese libero. La Commissione guidata da Ursula von der Leyen è un obbrobrio politico che rinnega i valori fondativi dell’Unione europea, le ragioni stesse per le quali è nata l’Europa unita. La vera guerra economica negli ultimi tre anni l’Europa l’ha combattuta con gli Stati Uniti che, dopo il venir meno del gas russo, ha costretto gli europei a comprare gas americano liquefatto a un prezzo varie volte superiore. L’idea che Usa e Ue siano degli alleati economici mi sembra non reggere. Con la Germania in recessione e le spese per gli armamenti in aumento ovunque, l’Europa manca di una guida e forse persino di una filosofia comune».
Possiamo ipotizzare scenari nuovi anche per l’Italia?
«A quanto pare Giorgia Meloni ha scelto di coltivare un rapporto privilegiato con Trump e il problema è che i privilegi sono per gli Stati Uniti. L’idea di trarre vantaggi perché si è vicini ideologicamente è illusoria. Vedremo nei prossimi anni cosa accadrà nel concreto, intanto si parla dell’acquisto dei servizi della rete di satelliti di Musk per 1,5 miliardi di dollari, acquisto che la stessa Meloni aveva violentemente criticato in passato, dicendo che la sicurezza doveva rimanere in mani pubbliche».
Professore, per molti, almeno qui in Europa, è difficile comprendere la scelta degli americani di richiamare alla presidenza Donald Trump. «Stiamo assistendo alla subordinazione della politica americana allo strapotere dei miliardari. Il 7 gennaio 2021, il giorno dopo l’assalto a Capitol Hill, si sarebbe dovuto portare Donald Trump a processo per alto tradimento. L’inerzia dell’amministrazione Biden, e soprattutto del ministro della giustizia Garland, che non ha fatto nulla rispetto a questa grave violazione della legge, ha aperto le porte alla cancellazione di reati gravissimi. L’ascesa al potere di Trump e dei suoi, che possiamo inquadrare come tecno-fascismo, è frutto anche della debolezza dell’élite liberale».
È arrivato il giorno del giuramento. Trump bis al via
Il 20 gennaio Donald Trump diventerà ufficialmente il presidente degli Stati Uniti per la seconda volta, dopo il quadriennio 2017-2021. Dopo aver sconfitto in modo netto Kamala Harris nelle elezioni di novembre, ha continuato a usare toni da campagna elettorale, arrivando il 7 gennaio scorso a immaginare l’occupazione della Groenlandia, l’annessione del Canada e la ripresa del controllo statunitense sul canale di Panama. Sono uscite tipiche in pieno stile trumpiano, ma oggi il peso delle sue parole fanno intravedere l’inizio di una nuova fase nella politica americana, che rimette in discussione i confini tra Paesi per raggiungere i propri interessi, anche con l’uso della forza. Una strategia che vede l’Europa impreparata e politicamente debole, con alcuni Paesi, come l’Italia, che preferiscono canali di dialogo autonomi con il presidente americano e i suoi.
Usa-Groenlandia, l’attrazione è fatale
Autonoma e con istituzioni proprie dal 1953, la Groenlandia fa parte della Danimarca, è l’isola più grande del mondo (2.175.600 km2 ) e ha 57 mila abitanti. Gli Usa ci hanno messo sopra gli occhi già dalla Guerra fredda per la sua posizione strategica. Negli ultimi anni ad aumentare gli appetiti stranieri è la ricchezza del sottosuolo, in cui si trovano grandi riserve di “materie prime critiche”, 43 dei 50 metalli ritenuti indispensabili per il settore tecnologico, in particolare per realizzare microchip.