Il Gattopardo, tra mistero e Storia. Riassume magistralmente la tendenza di alcuni politici ad ammorbidire i programmi più radicali in prossimità del potere
Il ritorno alla ribalta mediatica del Gattopardo è avvenuto soprattutto quando si è sparsa la notizia della scomparsa, a 88 anni, di Alain Delon, che impersonò nel 1963 la figura di Tancredi
Strano destino quello de Il Gattopardo, romanzo uscito nel 1958, ad un anno dalla scomparsa del suo autore, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, appartenente ad un nobile casato siciliano. La pubblicazione del romanzo fu una vera e propria avventura editoriale: rifiutato da due colossi come Mondadori e Einaudi per decisione di Elio Vittorini, che non amava la scrittura di Lampedusa, ritenuta un po’ troppo datata e soprattutto per la mancanza nel romanzo di un impegno storico preciso e progressista, venne pubblicato però, ironia della storia, da un altro editore impegnato a sinistra, Feltrinelli, per la decisa ed entusiastica iniziativa dello scrittore Giorgio Bassani che, quattro anni dopo, a sua volta avrebbe scritto un altro libro importante per la storia della letteratura italiana del Novecento, Il giardino dei Finzi-Contini.
Ma il ritorno alla ribalta mediatica del nostro oggi del Gattopardo è avvenuto soprattutto quando si è sparsa la notizia della scomparsa, a 88 anni, di Alain Delon, che impersonò nel 1963 la figura di Tancredi, il nipote del protagonista, principe di Salina: Tancredi è colui che pronuncia la celebre frase “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, divenuta proverbiale quando si vuole rimarcare il trasformismo politico che avrebbe portato l’Italia unita ad essere governata dalla destra storica dopo che Garibaldi e le idee mazziniane ne avevano costituito l’effettiva realizzazione. Anche perché riassume magistralmente la tendenza di alcuni politici ad ammorbidire i programmi più radicali in prossimità del potere.
Nel Gattopardo, come aveva intuito -e condannato- Vittorini, sembra regnare la rassegnazione al compromesso e alla mediocrità, ma a leggere bene alcune pagine emerge anche altro, che anche nei suoi racconti Tomasi aveva a volte narrato, come in “Lighea”, dove appare lo spirito della natura sotto forma di sirena: il che non è molto piaciuto ai fautori del materialismo e del realismo a tutti i costi. Se infatti da una parte in Il Gattopardo sembra farsi largo una visione del mondo deterministica e darwiniana, con la lotta per la vita e l’affermazione del più forte -e scaltro-, dall’altra appare la persistenza -ma anche il superamento- del desiderio sotto forma di volontà di possesso, e non solo di cose materiali, che farebbe pensare alla filosofia di Schopenhauer, ma anche allo Shakespeare di Macbeth e al Calderon de la Barca de La vita è sogno.
L’amore per le stelle, cui dedica gran parte della sua giornata, del protagonista va oltre quello dell’eros e della soddisfazione del momento, e la scena dell’agonia del principe ne è indizio evidente. Se da una parte Il Gattopardo si pone sulla linea del romanzo del disincanto e della caduta delle speranze politiche, come in “I vecchi e i giovani” di Pirandello o in “I Vicerè” di De Roberto, dall’altro quell’episodio, non a caso escluso dal film di Visconti, è sintomo reale di un’opera in cui materia, desiderio, carne e spirito si mescolano senza soluzione di continuità.
La scena di una donna, che gli altri non vedono, che si fa largo tra i presenti per portare via con sé l’anima del principe è segno evidente che Tomasi di Lampedusa desiderava anche narrare il contatto con l’altro, il non dicibile, il senso finale del mondo.