VI Domenica di Pasqua *Domenica 25 maggio 2025
Giovanni 14,23-29

In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».
Gesù ci dà l’allerta, che temevamo: «Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate» (Gv 14,28-29). Per Gesù il tempo è scaduto: deve andarsene. Che sia perché noi lo abbiamo deluso? O perché il Padre, a cui del resto è sempre rimasto legato, lo rivuole a casa? Comunque sia, noi dobbiamo pensare che per noi è tutto finito? No! «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (14,23). Abbiamo capito bene?! La grammatica è d’una trasparenza unica. Dice che se Gesù se ne va, c’è la possibilità però di poterlo incontrare, sia lui che il Padre. E non tanto in cielo, ma sulla terra, addirittura dentro di noi. Basta che noi osserviamo la sua Parola. È bellissimo! A vivere della sua Parola, il cielo scende tra di noi e noi diventiamo addirittura tabernacolo di Dio!
È lo spettacolo che Giovanni contempla nell’isola di Patmos: «L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto – ci confida Giovanni – e mi mostrò la città santa, Gerusalemme» (Ap 21,10). È la città, dove abita Dio con tutta la sua gloria: «Scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino» (21,10-11).
Giovanni ne rimane incantato! Anche perché la città santa presenta delle stranezze! Da un lato mostra una compattezza unica: «È cinta da grandi e alte mura», ma sulle mura si aprono ben «dodici porte. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte» (21,12-13). Cosa devo capire? Che… all’abbraccio forte, con cui Dio protegge tutti quelli che abitano l’interno della sua città, Dio unisce un’accoglienza illimitata per chi da fuori chiede di entrarvi. Le porte, infatti, vigilate da «dodici angeli», portano incisi «i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele» (21,12). Quelle porte, da un lato, non fanno altro che riprendere tutta la storia con cui Dio attraverso i suoi profeti ha tenuto unito Israele, ma, attenzione, dall’altro lato, «le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello» (21,14). Sono i profeti della Chiesa di oggi, con cui Dio allarga la sua grazia a tutti i popoli della terra, riunificando tutti i frammenti della nostra umanità. Bellissimo!
Ma le sorprese non finiscono qui! Infatti, «in essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio» (21,22). Via, quindi, tutte le strutture, con cui da sempre siamo soliti distinguere il sacro da ciò che non lo è. Via tutte le partigianerie di piccolo interesse. E via anche tutti i supporti esterni, di cui abbiamo bisogno per dar consistenza a tutto ciò che viviamo. Infatti, «la città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello» (21,23). E Dio e l’Agnello stanno dentro la nostra carne, abitano il tempio del nostro corpo, celebrano le loro liturgie nelle parole e nei gesti con cui noi combiniamo i nostri giorni. Bellissimo! E non è ancora finita! Infatti, «il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (14,25-26). Sarà la memoria di ciò che abbiamo dimenticato, l’insegnante di sostegno che non solo riprenderà le parole, che Gesù ci ha detto e noi non abbiamo colto, ma soprattutto ci accompagnerà, passo passo, a mettere insieme un’armonia reciproca mai raggiunta, la pace!
«Vi lascio la pace» ci dice Gesù. Un traguardo di sogno. Di più, aggiunge Gesù, «vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27). La pace del mondo lo sappiamo tutti, è una ben povera pace, è la pace dei tribunali,
la pace delle diplomazie internazionali.
Più che a risolvere i problemi, le paci
del mondo servono solo a tenere distanti
i contendenti. Cose, che anche
a Gerusalemme nella comunità cristiana dei primi tempi, si facevano. Da un lato quelli che provenivano dai giudei e dall’altro i pagani.
Ma ora, non è più così, ripetono gli apostoli a Paolo e Barnaba: «È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!» (At 15,24.27-29).
È questa e solo questa la pace che Gesù dà al mondo, farci star bene dentro il suo ovile e dare ospitalità a quanti da fuori bussano per entrare. Cercano pace, come e più di noi e noi, con la compagnia dello Spirito che ci abita, non possiamo che dar loro pace, nell’esultanza di tutto il mondo.
«Dio abbia pietà di noi e ci benedica – conclude il salmo responsoriale - su di noi faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti. Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti. Ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra» (66, 2-3.6.8).
frate Silenzio
Sorella allodola
È nella nostra fragilità che Dio custodisce la sua eternità!
Nella foto: Giovanni di Patmos osserva la discesa della nuova Gerusalemme (tratto dall’arazzo dell’Apocalisse del castello di Angers, Francia).