XIX Domenica del Tempo ordinario *Domenica 7 agosto 2022

Luca 12,32-40

XIX Domenica del Tempo ordinario *Domenica 7 agosto 2022

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Farsi “minori” per restituire un giorno

Si sentono spesso preoccupazioni e lamentele per il calo del numero dei fedeli, per i genitori che scelgono di non battezzare i figli, per i ragazzi e i giovani che non frequentano le comunità parrocchiali, per i giovani che non si sposano più in chiesa e così via... Sì, sono cose che sento dire da quando ero adolescente, ma è sotto gli occhi di tutti il calo del numero delle persone che partecipano con costanza alla vita parrocchiale. E quindi, che facciamo?  buona cosa farsi da fare, intercettare il vissuto delle persone e inventarsi sempre nuove opportunità per annunciare la luce del Vangelo, tuttavia bisogna anche ricordarsi che la forza e la potenza non coincidono con il numero. Anzi, a guardare la storia e l’esperienza recente, si capisce come il fatto di essere stati o di essere maggioranza non ha coinciso con una vita sempre buona e coerente. In questi anni, ad esempio, la Chiesa (a differenza di altre realtà religiose e non, nazionali e sovranazionali) sta vivendo con coraggio una grande purificazione, addirittura contestata da alcune persone che ne fanno parte, ammettendo e chiedendo pubblicamente scusa degli errori commessi proprio nei periodi di maggior prosperità numerica.

Si resterà in pochi?Bene… a questo proposito, spesse volte la Scrittura rivela che ciò non è un problema: più e più volte il Signore ha scelto se non l’ultimo almeno il secondo, il più piccolo, il più giovane, “il minore”: chi, agli occhi del mondo non era apprezzato o considerato come capace, buono o efficace. Sì, si rimarrà forse in pochi, e magari nemmeno del tutto buoni, proprio come il gruppetto degli amici di Gesù; eppure, proprio a quel gruppetto, e a noi, Gesù dice: «Non temere, piccolo gregge… il protagonista non sei tu, la vittoria non viene dal numero, l’efficacia non è garantita dalla potenza dei tuoi mezzi o dalla quantità di soldi che hai messo da parte, ma dal riconoscere che la tua forza viene solo dall’amicizia che vivi con me e dalla fiducia che riponi in me: abbi cura di questo e il resto verrà».

Mi colpiscono le parole di Luca, subito dopo questo invito di Gesù. 

Nel corso degli anni le parrocchie e gli istituti religiosi, per rispondere ai bisogni del tempo, si sono dotate di tante strutture che, in tantissimi casi, oggi sono da rinnovare, o non servono più.

Come si può credere di riuscire a mantenere un certo impianto quando le risorse umane non ci sono più?

Come ho scritto sopra, il numero delle persone che partecipano alla vita delle comunità con costanza e che manifestano un serio senso di responsabilità nel prendersi cura di quel che c’è, è in calo; i preti, poi, sono sempre meno… Non si può far finta di riuscire a “reggere tutto” come se nulla, in questi anni, non fosse cambiato. Il desiderare o lo sperare che nel giro di pochi anni ogni cosa ritorni com’era, oltre che essere illusione, è  segno di povertà intellettuale.

Ricordare ciò che si è fatto e vissuto (patronati attivi e pieni di iniziative, veglie, incontri, campiscuola per tutta l’estate, grest, giornate passate in confessionale, campi invernali, uscite varie, iniziative in quantità, sacramenti ricevuti praticamente da tutti, feste varie…) non serve a nulla se sospinge a diventare malinconici, a chiudersi nella continua ripetizione di quel che si è fatto o, peggio, a rimpiangere (o addirittura a tornare) ai tempi della messa in latino e di quanto si faceva in quel periodo. Il ricordo di quel che c’è stato è buono nella misura in cui aiuta a stare nel presente rinnovando l’impegno e i modi di servire l’umanità di questo tempo con la buona proposta del Vangelo.

Credo che tante nostre strutture possano essere “date in elemosina”.
Attraverso un'intelligente e saggia collaborazione con chi governa il territorio, tante strutture parrocchiali potrebbero essere “tradotte”, utilizzate secondo i bisogni delle persone di questo tempo. Nei prossimi anni, per scelta o per obbligo, le comunità parrocchiali dovranno affrontare questa questione e sarebbe meglio, anche in questo caso, non lasciarci guidare dall’urgenza, ma dalla lungimiranza evangelica.

Gesù poi parla di un male che spesso arriva con l’età. Mi riferisco a quella forma di pigrizia mista a orgoglio che fa ritenere di avere un’età o una condizione in cui si è “arrivati”. Si pensa di non aver nulla da imparare, nulla da rinnovare, nulla da lasciar andare, da cambiare… È la “sclerocardia”: il cuore che s’è fatto duro per esserci seduti sui propri errori senza aver continuato ad ascoltare la differenza tra quel che si vive e quel che si potrebbe vivere.
È la malattia che impedisce la maturità: si rimane sempre a mezzo, non si porta a compimento il buono che ci è stato affidato. È una malattia che rende insulsi i giorni facendoci addormentare su una continua e meccanica ripetizione e che fa provare fastidio, avversione, paura e repulsione davanti a ogni tentativo di fare in modo diverso o nuovo quel che c’è da fare. È una malattia che in alcuni casi può portare anche a cercare consolazioni negli eccessi, proprio in quelli che si condannano pubblicamente e che si cercano di nascosto.

La terapia per guarire da questa malattia consiste per prima cosa nel riconoscere di esserne, almeno un po’, infetti e poi nel ricordarci che a un capo, a un adulto, a una guida, a un genitore, a un prete o a un religioso è chiesto di rimanere “servo”, di non credersi o farsi padrone. La guarigione passa proprio per questa via: scegliere di essere “minore”, servo, e ad un servo è chiesto di prendersi cura con attenzione e dedizione di quel che gli è stato affidato, sapendo che un giorno dovrà poi consegnare quel che gli è stato dato.
Quello che ho, il posto in cui sono, le persone che amo, quelle che frequento… tutto mi è stato affidato perché io lo possa “coltivare e custodire” e questo è, concretamente, il compito: «… dare la razione di cibo a tempo debito».
E per far mangiare anche chi, in questo tempo, sembra non aver fame o non gradisce quel che si prepara, non basta saper cucinare. Occorrono fantasia, inventiva, disponibilità e anche un po’ di competenza… cose tutte che vengono quando ad animare il fare non è il dovere, ma l’amore. Ecco quel che deve avere nel cuore una buona guida di comunità, di gruppo, di famiglia: non perdere l’amore per quel che fa e per chi gli è affidato.

Ecco l’esercizio spirituale che propongo. Lo faccio attraverso una domanda che, me ne rendo conto, ho più volte suggerito.

◆ Il nostro darci da fare risponde ai bisogni di questo tempo?

◆ Il nostro modo di credere, è significativo?

◆ Il nostro modo di vivere il matrimonio fa venir voglia di sposarsi?

◆ Il nostro modo di essere preti e religiosi suscita fame interiore alle persone di questo tempo?

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