Fisco e terzo settore, «il regime di tassazione va totalmente ripensato»

L’Agenzia delle Entrate in audizione alla Camera sul disegno di legge delega di riforma del terzo settore: «Il mondo del non profit è cambiato, servono nuove regole». Gli obiettivi: più semplici deduzioni e detrazioni, meno burocrazia ma più controlli per il cinque per mille.

Fisco e terzo settore, «il regime di tassazione va totalmente ripensato»

I vantaggi fiscali per gli enti del terzo settore sono oggi legati alla totale assenza di attività commerciale o, quando essa vi sia, alla sua marginalità: un atteggiamento che trova le sue ragioni in una «visione storica ed ideologica ben precisa che oggi non sembra collimare né con la realtà del Terzo Settore, né con la sua funzione all’interno del sistema produttivo del paese».
Il parere è dell’Agenzia delle Entrate che, ascoltata in audizione alla Camera dalla Commissione Affari sociali nel corso dell’esame del ddl delega di riforma del terzo settore, argomenta che la visione andrebbe rovesciata, considerando come parametro fondamentale non l’assenza (o marginalità) dell’attività commerciale ma la finalità sociale, cioè la «destinazione dei proventi derivanti da quell’attività commerciale per il perseguimento della mission sociale»

«Un conto – spiega il documento dell’Agenzia delle Entrate – è non svolgere alcuna attività commerciale; un altro è utilizzare gli utili derivanti da attività commerciali per finanziare i propri scopi sociali, in modo alternativo alla classica raccolta di donazioni private e di contributi pubblici: si tratta di attività commerciali, ammesse attualmente entro stretti limiti normativi, che nulla tolgono, tuttavia, al carattere non lucrativo delle finalità perseguite».

L’approccio attuale, spiega l’Agenzia delle Entrate, stride fortemente con la fotografia che l’Istat ha fatto del terzo settore, che vale tra il 4 e il 10 per cento del Pil e le cui entrate oggi derivano per il 47,3 per cento dallo svolgimento di attività commerciali e che è prevalentemente alimentato dal finanziamento privato (65,9 per cento contro il 34,1 del pubblico). «La realtà – è il giudizio dell’Agenzia delle Entrate – ha ampiamente superato la norma civilistica sdoganando definitivamente l’idea che gli enti non profit si qualifichino per la finalità non lucrativa e non per l’attività svolta che può anche essere commerciale».

Si può cambiare dunque, anche perché non è che nella situazione attuale non manchino i problemi, testimoniati dal numero elevato di accertamenti, contenziosi tributari, interpelli, consulenze giuridiche, risoluzioni e circolari che ogni anno vedono impegnata l’Agenzia delle Entrate in quest’ambito.

Erogazioni e 5 per mille: più semplicità ma più controlli
L’Agenzia delle Entrate segnala anche la necessità di semplificare il regime di deducibilità e detraibilità delle erogazioni liberali a favore degli enti non profit e poi prende in esame l’istituto del cinque per mille, mettendo in evidenza le criticità della situazione attuale.
Bisogna regolare l’accesso (oggi l’Agenzia delle entrate non ha alcun potere di controllo sulla “meritevolezza” dell’ente e dell’attività svolta), in modo da evitare la presenza nella platea dei beneficiari enti non caratterizzati da una effettiva connotazione solidaristica.
Viene segnalata inoltre la necessità di una semplificazione degli adempimenti a carico dei contribuenti (che oggi devono ripresentare ogni anno domanda di ammissione), con la previsione di una sola domanda di iscrizione da presentare una volta per tutte con iscrizione in un apposito registro, e la necessità di un rafforzamento del sistema di rendicontazione attuale, sul quale l’Agenzia delle entrate non ha oggi alcuna competenza.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)