Domenica delle Palme *Domenica 20 marzo 2016

Luca 22, 14-23,56

Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò. Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto». Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo.

Un verbo solo

Il vangelo che apre la liturgia delle Palme inizia così: «Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme». Dopo aver proclamato di essere via, verità e vita (Gv 14,6), Gesù non subisce la passione e morte: è protagonista ed “affermativo”. La passione è azione. Azione d’amore: Gesù offre la vita senza che nessuno possa strappargliela (cfr Gv 10,18). A ogni passo di questo evento di condanna a morte di un giusto, di un innocente, l’unico verbo che viene coniugato è in fondo il verbo “amare”. Se camminiamo con Lui, se restiamo nella sua grazia anche il nostro patire avrà questa luce. E lo scrivo da parroco che purtroppo incontra persone che aggiungono dolore a dolore perché non sanno, non possono, non riescono o non vogliono affrontare la prova in cui si trovano: ed ecco il fatalismo rassegnato o la depressione o la rabbia contro tutto e tutti (come quella di uno dei malfattori concrocifissi).

Il perdono

Gesù muore con parole di perdono e di misericordia, perché tale è stata tutta la sua vita, perché così ha sempre insegnato. Come sempre, Gesù per primo mette in pratica in pieno ciò che dice a parole. «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno»: dopo queste parole non c’è posto nella chiesa per l’antisemitismo, è chiaro. E in questo Giubileo della misericordia va sottolineato che Gesù non smette di perdonare fino all’ultimo! E che proprio dalla bocca di uno dei malfattori esce una bella professione di fede: Gesù è colui che non ha fatto assolutamente nulla di male. Teniamo a mente che chi è stato più fisicamente vicino a Gesù nell’ora della morte è persona condannata alla pena capitale, non certo dalla limpida moralità fino ad allora.

Si muore come si vive

Il luogo chiamato Cranio è per varie fonti rabbiniche il posto dove fu sepolto Adamo: quindi il dono d’amore di Gesù, quel soffio che Egli consegna al mondo ed alla chiesa nel momento supremo segnano la nascita di una umanità nuova. Qualcosa che era morto con il peccato originale, ora vive e vivrà per sempre. È il nuovo inizio dell’alleanza con Dio. In quanti modi si può dire “morire”? E quante sfumature diverse! Andare all’altro mondo, lasciare questa vita, spegnersi, mancare, schiattare, crepare, tirare le cuoia, perire, spirare, ritornare alla casa del Padre... Avessimo come chiesa un po’ più coraggio nel toccare questo tema! Gesù muore in dialogo con Dio Padre, a Lui rivolto: pregando, cioè, e con fiducia. E la morte non è un ladro che violentemente ruba qualcosa: Gesù dona e affida se stesso. «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?»: sono al capitolo due di Luca le prime parole dette da Gesù. Con l’invocazione di Gesù in croce, allora, la missione è compiuta, Gesù ha dato tutto per le “cose del Padre suo”. In fondo morire non è fine ma compimento, il sigillo di tutta la vita.

Lo Spirito Santo

Dall’alto della croce, dalle sue labbra esce un ultimo respiro – lo Spirito santo – che da quel momento in avanti percorre sempre e dovunque l’universo. E non c’è luogo o tempo dove non possa arrivare questo divino respiro. L’orribile supplizio della croce portava alla morte per soffocamento, a togliere il fiato, data l’innaturale posizione del corpo che portava alla compressione dei polmoni. Ma al Signore nessuno può togliere il divino respiro che è lo Spirito santo. E noi viviamo avvolti dentro questo dono, grazie al quale il nostro celebrare la Settimana santa è sprofondare nell’amore del Signore.

La sofferenza più grande

Un familiare di un malato terminale di cancro alle ossa mi dice che neanche Gesù Cristo ha sofferto così a lungo e così atrocemente. L’aria nella stanza è pesante di sconforto, impotenza, rabbia... Ogni dolore ha qualcosa di indicibile e porta a spegnere le parole inutili. Spesso il silenzio è la più elementare forma di rispetto, è voce di sincera compassione. Sì, ci sono persone che hanno un carico tremendo di dolore fisico, che soffrono più a lungo e più pesantemente di Gesù Cristo. Non credo sia blasfemo sostenerlo. D’altra parte le parole del buon ladrone all’altro condannato («Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male»), e le parole del centurione che attestano che Gesù è veramente uomo giusto, fanno comprendere che non esiste persona più innocente di Gesù. Che non c’è stata (e mai ci sarà) persona la cui condanna sia stata più iniqua e ingiusta, più immeritata. Gesù è l’innocente più innocente di sempre a morire: è questo il grande scandalo; questo il fardello che il Cristo si porta addosso.

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