Le aziende si aprono, tutti fuori dall’aula

Alternanza scuola lavoro: da quest’anno obbligatorio l’incontro degli studenti con le realtà produttive. La legge prevede un monte ore consistente da dedicare all’orientamento e a esperienze pratiche nelle imprese, anche in orario scolastico. Il problema dell’avvio e dell’organizzazione dei percorsi e il nodo dei licei.

Le aziende si aprono, tutti fuori dall’aula

Il punto di partenza si rifà da un lato a un dato congiunturale (la disoccupazione giovanile alta, oltre il 25 per cento, tra i ragazzi veneti da 15 a 24 anni), dall’altro a un’esigenza più strutturale: quella di avvicinare la scuola al mondo delle aziende.
Gli imprenditori, piccoli e grandi, si lamentano da tempo: i nostri percorsi formativi non danno esiti praticabili sul versante dell’inserimento professionale, vi sono mestieri (come testimonia annualmente il rapporto Excelsior) praticamente introvabili sul mercato delle disponibilità di giovani diplomati o laureati; a tutto questo si aggiunga il fatto che troppi ragazzi sono molto “poveri” di cultura del lavoro, non sanno nulla di tempi, orari, fatiche, atteggiamenti.

Il modello tedesco come esempio

Per questi motivi si è deciso di avviare un percorso didattico (che guarda con attenzione al modello duale tedesco) in cui il contatto e la sperimentazione della vita aziendale facciano parte a pieno titolo degli obblighi scolastici.
Per essere chiari: se fino a ora partecipare a una visita o a uno stage era una possibilità tutta affidata alla buona volontà di studenti, imprese, famiglie e docenti, da oggi diventa obbligatorio.
Si chiama “alternanza scuola lavoro” e intende fornire ai giovani, oltre alle conoscenze di base, quelle competenze utili a inserirsi nel mercato delle professioni, alternando ore di studio ad altre di formazione in aula e trascorse all’interno delle imprese.

L’esperienza, nelle motivazioni della legge, intende «integrare i sistemi dell’istruzione, della formazione e del lavoro attraverso una collaborazione produttiva tra i diversi ambiti, con la finalità di creare un luogo dedicato all’apprendimento, in cui i ragazzi siano in grado di imparare concretamente gli strumenti del “mestiere” in modo responsabile e autonomo. Se per i giovani rappresenta un’opportunità di crescita e di inserimento futuro, per le aziende si tratta di investire strategicamente in capitale umano ma anche di accreditarsi come enti formativi».

La nuova legge in pratica

Questo nuovo approccio alla didattica ora è legge (107/2015), rivolto a tutti gli studenti del secondo biennio e dell'ultimo anno, e prevede obbligatoriamente un percorso di orientamento utile nella scelta che si dovrà fare una volta terminato il ciclo di studio. Il periodo di alternanza scuola lavoro si articola in 400 ore per gli istituti tecnici e 200 per i licei (entrambi in tre anni).

L’alternanza si realizza con attività dentro o fuori la scuola.

Nel primo caso, si tratta di orientamento, incontri formativi con esperti esterni, insegnamenti di istruzione generale in preparazione all’attività di stage. Le esperienze fuori dalle aule riguardano appunto, prevalentemente, lo stage. Sono previste diverse figure di operatori della didattica: tutor aziendali, docenti che seguono l’attività in aula, altri incaricati del rapporto con le strutture ospitanti e le aziende, consulenti.
Le competenze acquisite dallo studente costituiscono credito sia ai fini della prosecuzione del percorso scolastico per il conseguimento del diploma o della qualifica, sia per gli eventuali passaggi tra i sistemi, come la possibile transizione nell’apprendistato.

Al termine del percorso, quindi, vengono rilasciati attestati di frequenza, certificati di competenze e crediti. I vari progetti di alternanza scuola lavoro sono resi possibili dalle istituzioni scolastiche, sulla base di apposite convezioni stipulate con imprese, camere di commercio, industria, artigianato, servizi, agricoltura, terzo settore, che si rendono disponibili a ospitare lo studente per il periodo dell’apprendimento.

Affinché si realizzi una convenzione, la scuola si impegna a fare un’attenta e accurata valutazione del territorio in cui va a inserirsi. Dopo questa fase di studio, gli istituti individuano le realtà produttive con le quali poter avviare collaborazioni concrete: queste assumeranno sia la forma di accordi ad ampio raggio, a valenza pluriennale, sia di convenzioni operative per la concreta realizzazione dei percorsi.

Vi è anche un registro nazionale per l’alternanza scuola-lavoro, presso le camere di commercio, strumento di raccordo per facilitare l’incontro tra imprese e scuole. Difatti la legge ha previsto che, proprio tramite questo strumento, sarà possibile conoscere le aziende disponibili ad accogliere gli studenti. I fondi per finanziare tutta l’operazione dovrebbero arrivare dal ministero. Questo lo spirito e le indicazioni della normativa, tutto il resto è affidato alla fatica e alla buona volontà di docenti, dirigenti, ma anche famiglie e ragazzi.

L'impegno delle scuole, la risposta del mondo imprenditoriale

La legge è già in vigore, quindi bisogna attrezzarsi. Come si stanno comportando le scuole, come reagiscono le imprese di fronte all’obbligo di garantire ai ragazzi l’alternanza scuola lavoro?
Il panorama è molto vario, sia sul versante formativo, che su quello della ditte. I più avvantaggiati sono gli istituti tecnici, che possono porre “sul mercato” studenti i cui percorsi hanno anche il merito di interessare direttamente le aziende. Vi è il problema delle classi (la legge prevede le terze, quarte e quinte) ma in questo ambito si sta affermando un’idea condivisa.

La parte più consistente dell’alternanza scuola lavoro, soprattutto per quel che riguarda l’esperienza di stage, toccherà ai ragazzi di quarta. Quelli di terza vengono generalmente giudicati troppo “teneri”, così le 60-70 ore del primo anno utile per loro in genere sono soprattutto formazione teorica; quanto a quelli di quinta, c’è il nodo dell’impegno per gli esami, che blocca o limita fortemente altre proposto che potrebbero sembrare “di disturbo”.
L’altro dato interessante è che, se fino a oggi gli stage o le esperienze in azienda erano collocati al di fuori del periodo strettamente scolastico, cioè d’estate, adesso questi percorsi vengono inseriti con piena dignità all’interno del normale orario delle lezioni.
Le scuole in genere si affidano autonomamente alle relazioni già in atto o che si stanno avviando con le imprese del luogo, sfruttando anche in maniera informale rapporti di amicizia, familiarietà, di colleganza.

Per quanto riguarda le associazioni di categoria, per il momento soltanto gli industriali si sono mossi in maniera organica. Ciò è dovuto al fatto che proprio questa fetta di imprenditori è quella che da tempo richiedeva una maggiore colleganza tra ambiti formativi e mondo del lavoro.
Unindustria Padova, ad esempio, ha elaborato un “vademecum” con tutte le indicazioni pratiche per vivere nel modo migliore le opportunità offerte dalla nuova legge. D’altra parte gli imprenditori più strutturati da tempo sono attivi su tale versante. Recentemente è stata avviata anche l’esperienza del “passaporto”, una modalità attraverso la quale il singolo studente (in maniera autonoma e responsabile) si accredita presso un’azienda (sono già una sessantina le disponibili) per una visita intelligente e accompagnata.

Il mondo artigiano non ha ancora messo sul tavolo nulla, i “piccoli” stanno cercando di capire come utilizzare la nuova legge in un contesto di micro imprese che certamente non agevola l’inserimento di un “estraneo”.

Resta il problema dei licei, certamente quelli più in difficoltà: 200 ore di alternanza scuola lavoro non sono poche per ragazzi che hanno essenzialmente la prospettiva di continuare a studiare per anni; probabilmente sarà utile per aiutarli a scegliere il loro futuro professionale, magari capendo che l’ingegnere o il medico non sia una strada personalmente praticabile. Ma questa è una partita che in molti casi non si è ancora deciso di giocare.

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