Leggere la costituzione a scuola è palestra di cittadinanza

La carta costituzionale, prima di essere un testo che chiarisce i nostri diritti e doveri, è un pre-testo, cioè un patto che ci lega a un senso comune di cittadinanza che viene prima delle nostre legittime diversità. Ed è un contesto da coltivare in molti ambiti sociali, iniziando tra i banchi di scuola.

Leggere la costituzione a scuola è palestra di cittadinanza

Testo, pre-testo e contesto.
Ciascuno di noi si trova come singolo, e come partecipe di varie formazioni sociali, a elaborare varie idee e a condividere varie appartenenze. Il quadro generale che contribuisce a farci sviluppare queste idee e queste appartenenze sotto il segno della libertà e della responsabilità, con precisi diritti e doveri, è la costituzione. È per certi versi un’eredità che noi non abbiamo conquistato direttamente, ma è anche un impegno per capirla e attuarla, sfruttandone al massimo le potenzialità per la crescita personale e collettiva.

Ma la costituzione, prima che essere un testo che chiarisce queste cose nei dettagli, è anche un pre-testo, è un patto che ci lega a un senso comune della cittadinanza che viene prima delle nostre legittime diversità. Le diversità sono chiamate ad arricchire, anche con legittimi conflitti, quella base comune senza la quale ci sarebbe solo arbitrio e la legge del più forte. La costituzione è poi anche un contesto, che si sviluppa se coltivata come conoscenza in alcuni luoghi sociali come la scuola, particolarmente adatti a trasmettere il sapere in modo vitale, con un sapere pratico oltre che teorico.

Cosa troviamo nella carta costituzionale
Passando a esaminare il testo (ma senza abbandonare la consapevolezza che lo esaminiamo a partire da un pre-testo e dentro un contesto) vi troviamo due parti: quella dei principi e delle norme fondamentali e poi quella organizzativa. La seconda è strumentale alla prima: sono le braccia con cui la mente è chiamata a operare. La prima è da sempre ritenuta molto “felice” e quasi intoccabile. Non tanto per avere un culto sacro di quelle che sono comunque parole umane ma perché, elaborate in tempi di divisione profonda, quelle parole si sono sempre più radicate come valori e principi comuni oltre le appartenenze. Ovviamente ci possono essere sensibilità nuove che su qualche punto specifico possono produrre qualche aggiornamento anche qui, come qualche anno fa l’inserimento della totale proibizione della pena di morte anche nelle leggi militari di guerra (articolo 27, modificato nel 2007). Si tratta, comunque, sempre di piccole correzioni su un impianto profondamente valido dettate dal sano principio secondo il quale i limiti che ci poniamo al cambiamento delle costituzioni servono solo per impedirci di andare indietro e non avanti rispetto ai progressi della coscienza collettiva.

La seconda parte va invece sempre vissuta con grande pragmatismo proprio perché è una parte strumentale. Proprio chi voglia mantenersi coerente coi fini deve sottoporre i mezzi a una verifica periodica, per vedere se essi sono ancora coerenti coi fini o non siano invece diventati disfunzionali. Anche le costituzioni nella loro parte organizzativa devono essere soggette a una manutenzione. Qualora non si provveda per tempo, invece di effettuare una manutenzione ordinaria si sarà costretti a una più forte manutenzione straordinaria.

Piste di riflessione e di impegno
In questo sforzo di fedeltà ai princìpi e di verifica di adeguatezza degli strumenti la nostra costituzione si è rivelata nel tempo capace di integrare nei suoi fondamenti strati sempre più ampi di cittadini (della democrazia ci si lamenta sempre, forse anche di più del passato, però quasi nessuno oggi ritiene migliori altre forme di organizzazione dello stato a differenza di quella scelta per l’Italia nel 1948) e però al tempo stesso la sua parte organizzativa è stata soggetta a forti stress. Basti pensare che, in fedeltà all’articolo 11 che prevede possibili cessioni di sovranità, si è sviluppata l’Unione Europea che porta con sé forme di decisione molto rapide di cui rispondono i governi, con riunioni sempre più frequenti dei capi di governo e dei ministri dell’economia. Rispetto a queste nuove realtà è, quindi, cresciuta l’esigenza di disporre di regole nuove, che favoriscano le stabilità e l’efficienza dei governi, sempre nell’ambito di un governo limitato con efficaci contropoteri, in primis di controllo da parte delle minoranze parlamentari e poi di rispetto della costituzione che si fa valere con la crescita del ruolo della corte costituzionale.

La crescita e lo sviluppo dell’integrazione europea, in questo momento in crisi, come periodicamente le è accaduto, non deve però comprimere il rispetto e la valorizzazione delle autonomie locali e regionali, che vanno ripensate in termini di responsabilità e di leale cooperazione con gli altri livelli di governo: anche qui si è aperto un dibattito sulle regole possibili per un regionalismo cooperativo e meno litigioso.

Aggiornate le regole si apre, poi, lo spazio decisivo per una competizione tra diversi progetti di governo locale, regionale e nazionale che si svolge soprattutto nei periodi elettorali. Per non essere distruttiva e non scadere in facili scorciatoie demagogiche, semplificatorie, di faziosità sproporzionata, questa competizione non deve però mai dimenticare che, nel pluralismo delle proposte, si tratta sempre di attuare i principi della prima parte della costituzione e di rispettare i limiti della seconda, anche opportunamente rivisitati.

Stefano Ceccanti, costituzionalista

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