A Malta una Chiesa schierata con gli ultimi: non c’è chi dà e chi riceve, ma “siamo tutti sullo stesso piano”
Tossicodipendenti, anziani, disabili, migranti. La Chiesa di Malta ha deciso di schierarsi dalla parte degli “ultimi” e l’impegno è capillare e diffuso in tutte le comunità parrocchiali, dove collaborano movimenti e organismi religiosi. Sono in totale 26 le organizzazioni della Chiesa maltese impegnate nel lavoro sociale
(da Malta) Vite spezzate, sprofondate nel buio della dipendenza. Non c’è età. Ci sono giovani e uomini più adulti. Hanno tutti alle spalle una storia di droga. Sono i “ragazzi” della “San Blas Therapeutic Community”, un centro di recupero dalla vita della strada, dalla morsa della tossicodipendenza. Anthony Gatt, psicologo di professione e direttore della Caritas di Malta, dà appuntamento qui per parlare di quello che gli operatori e i volontari della Caritas fanno sull’isola per le persone più vulnerabili. Il complesso è un insieme di edifici ben tenuti. Ci sono un centro di “stabilizzazione” dove sono accolti i ragazzi al loro arrivo per una permanenza che può durare dalle 6 alle 7 settimane. Da lì il passo successivo è la comunità terapeutica – divise per donne e uomini – e infine un centro di “After care”. Prima era l’eroina, oggi sono la cocaina e la crack cocaina a far sprofondare le persone nel tunnel della dipendenza. Dietro ci sono vite cadute nell’abisso, volti segnati dalla sofferenza fisica e mentale.
Le storie sono diverse. Chi ha alle spalle esperienza di abusi, usura, gioco d’azzardo. “La droga è un modo per fuggire da sé stessi e dal dolore”.
Andrew ha passato nel Centro di San Blas un anno e mezzo. “Sono entrato in comunità nel 2017. È il mio anno di nascita”. Aveva 14 anni quando ha cominciato a fare uso di ecstasy. Il calcio era il suo grande sogno. Poi ha lavorato avviando un’attività nel campo della ristorazione. All’inizio la droga lo ha aiutato a sostenere i ritmi intensi di un’impresa. “Poi la droga si è preso tutto”. Andrew racconta di aver fatto uso di tutti i tipi di stupefacenti. Ha viaggiato. Cercato in tutti i modi di uscire. Anni trascorsi fuori e dentro le comunità. Poi l’arrivo a San Blas e la lenta rinascita. “Tutto dipende da te”. E da allenatore di calcio, ai ragazzi dice:
“non tenetevi dentro niente. Cercate sempre qualcuno con cui parlare dei vostri problemi e dei vostri sogni. Non pensate mai di farcela da soli. Chiedete aiuto”.
“Negli ultimi dieci anni, Malta ha vissuto una grande ripresa economica, ma con la ricchezza è aumentato anche il divario tra ricchi e poveri”, spiega Anthony Gatt. Il Covid e subito dopo la guerra in Ucraina non hanno aiutato. Come dappertutto in Europa, hanno generato un’inflazione che sta avendo un impatto forte sulla popolazione. I prezzi degli affitti sono carissimi. Un monolocale può arrivare a costare anche 800/1000 euro al mese. “Il governo dà sussidi ma la gente non ce la fa, fa fatica. Sono aumentate le persone che vivono per la strada. In 8 anni che lavoro alla Caritas, non ho visto così tante persone rivolgersi alle nostre mense”. “I poveri dei poveri sono i migranti. Nei loro confronti purtroppo si registrano anche forme di razzismo e sfruttamento”.
“Pochi riescono a prendere lo status di rifugiato. Tutti gli altri sono destinati a vivere in un limbo. C’è tanta sofferenza”.
La chiesa di Malta ha deciso di schierarsi dalla parte degli “ultimi” e l’impegno è capillare. Prende varie forme. È diffuso in tutte le comunità parrocchiali, a cui collaborano movimenti e organismi religiosi. Sono in totale 26 le organizzazioni della Chiesa maltese impegnate nel lavoro sociale. C’è chi si occupa dei migranti, chi delle persone disabili e chi per il recupero dalla tossicodipendenza. Ci sono istituti per minori e case per anziani. In partnership con il governo, la Caritas gestisce anche “case” dove vengono accolte persone che vivono per la strada. Il 70% degli ospiti sono migranti. In una delle “Emergency center”, c’è anche una mensa dove ogni giorno viene distribuito il pranzo per 100/150 persone. Ma le persone possono trovare un pasto anche dai francescani e in 14 parrocchie si sono organizzati per distribuire delle “food bag”.
“È la solitudine la più grande forma di vulnerabilità”, dice il direttore della Caritas.
“In una società dove i valori della comunità e della famiglia si stanno spegnendo, noi vogliamo che le persone si sentano accolte, amate e rispettate nella loro dignità, per quello che sono. Troviamo ispirazione in quello che facciamo dalle parole del Vangelo dove Gesù dice: tutte le volte che avete fatto ciò a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, lo avete fatto a me!”. Il popolo del “bene” è composto da 160 operatori Caritas tra full time e part time, ai quali si aggiungono i volontari attivi nelle diaconie parrocchiali, nelle case, nelle mense, nei servizi. Sono professionisti, avvocati, medici e infermieri, semplici accompagnatori.
“Nessuno è solamente povero. Anche il povero è una persona che può dare tanto alla comunità”, chiarisce immediatamente Albert Debono, volontario della “Loop”, un’impresa sociale che ha base nel Seminario locale a pochi chilometri dalla città antica di Mdina. Un progetto articolato nato per coordinare e sostenere il lavoro delle 70 diaconie parrocchiali sparse su tutto il territorio a favore delle persone più vulnerabili. È della Loop un “negozio” per vestiti di seconda mano che vengono lavati, sistemati e proposti a 5 Euro in un negozio a La Valletta. Tutti possono acquistare gli indumenti. Ma a chi ha difficoltà viene dato un voucher da utilizzare nel negozio, dando così la possibilità di acquisto e scelta secondo anche le necessità.
Ma è la “Cucina di Marta”, il vero fiore all’occhiello della Loop. Una cucina professionale dove ogni giorno vengono confezionati cibi cotti e surgelati e poi distribuiti casa per casa, parrocchia per parrocchia. 130 volontari divisi in 7 team di 5 persone sostengono il progetto che consente la realizzazione di 1.200 porzioni a settimana per un totale di 50 mila l’anno. “Non ci sono benefattori e beneficiati. Non c’è chi sta al balcone e dà e chi sta a terra e prende. Siamo tutti sullo stesso piano”. “Essere poveri – osserva Debono – non è un problema. Lo abbiamo fatto diventare noi solo così. In realtà la povertà dell’altro chiede a tutti di fare un passo indietro, ridurre i nostri bisogni, per optare verso una vita più semplice. Possiamo così incontrarci a metà strada, riscoprendoci sorelle e fratelli, parte della stessa comunità”.