Comunicazione, silenzio, coscienza. Una riflessione a partire dal monito di papa Francesco sull'uso del telefonino

Forse siamo in balìa di un tempo accelerato che ha modificato perfino le nostre strutture attentive e le capacità cognitive.

Comunicazione, silenzio, coscienza. Una riflessione a partire dal monito di papa Francesco sull'uso del telefonino

I titoli dei giornali hanno rilanciato il monito che papa Francesco ha rivolto nei giorni scorsi agli studenti del Liceo Visconti di Roma. “Non siate schiavi del telefonino!”, ha detto loro.

In realtà, il Papa nel suo discorso non ha parlato soltanto di telefonini, ma ha toccato diversi temi, tutti tra loro collegati: la comunicazione, il silenzio e la coscienza, ad esempio.

Sono questi tre argomenti che, più degli altri spunti, ci sembrano fondamentali. Anche perché, spesso, condannare l’uso non consapevole (o l’abuso) delle nuove tecnologie ci porta fuori strada e ci impedisce di approfondire quali siano le ragioni che spingono i giovani a “riempire” il loro tempo con lo spasmodico utilizzo dello smartphone.

Il telefonino è un grande aiuto, è un grande progresso; va usato, è bello che tutti sappiano usarlo. Ma quando tu diventi schiavo del telefonino, perdi la tua libertà. Il telefonino è per comunicare, per la comunicazione: è tanto bello comunicare tra noi. Ma state attenti, che c’è il pericolo che (…) la comunicazione si riduca a semplici contatti”, questo ha detto papa Francesco centrando in pieno uno dei nodi di questo tempo: l’assenza di vera e profonda comunicazione.

Situazione paradossale, perché in effetti viviamo in un’epoca con grandi potenzialità e strumenti comunicativi. Eppure l’abbondanza dei media, pare penalizzare i contenuti. Forse abbiamo dato un taglio troppo tecnologico e utilitaristico alla nostra società? Forse siamo in balìa di un tempo accelerato che ha modificato perfino le nostre strutture attentive e le capacità cognitive, per cui siamo portati a operare in modalità iperveloce e multitasking interiorizzando poco o nulla di ciò che facciamo?

Papa Francesco ha parlato anche di coscienza. “Avete imparato ad ascoltare la vostra coscienza? (…) È più di una scienza, è una saggezza, per non diventare una banderuola che si muove al vento da una parte e dall’altra”. La coscienza è il luogo della profondità e della riflessione, dove elaboriamo contenuti. Ma il confronto con la coscienza ha bisogno di tempo, di silenzio e di solitudine. Merci rare nell’epoca in cui viviamo.

Il Santo Padre è intervenuto anche sul tema del silenzio e della solitudine. “Non abbiate paura del silenzio, di stare da soli. (…) Non abbiate paura dei disagi e delle aridità che il silenzio può comportare. (…)Ricordiamoci quello che scriveva S. Agostino: «in interiore homine habitat veritas» (De vera rel., 39, 72). Nell’interiorità della persona abita la verità. Bisogna cercarla”.
Ancora una volta i sintomi del malessere ci mostrano l’urgenza di riscoprire l’uomo e la sua anima ormai sopraffatta dalla tecnologia. Non solo l’adolescente, quindi, ma l’intero genere umano.

Occorrono tempo, solitudine, silenzio e occorre riscoprire il valore e la misura delle parole.
Nei test Invalsi di italiano svolti in questi giorni dagli studenti delle scuole secondarie di primo grado, i ragazzi si sono confrontati con una sezione dedicata al lessico: la conoscenza e il corretto uso delle parole. Per molti è stato difficile individuare la giusta definizione richiesta nelle domande. La prova ha insistito dunque su un vulnus sociale. Il nostro vocabolario va riducendosi e si tecnicizza. E’ orientato alle azioni pratiche e perde i lemmi legati all’ambito spirituale e filosofico.

Il guaio è che anche il lessico “emozionale” va scolorando. Nella comunicazione “istantanea” viene soppiantato dalle simpatiche emoticon, che tendono a omologare e non hanno certo lo spessore di una parola.

Le emozioni e i sentimenti hanno un disperato bisogno di parole. Soprattutto quando diventano laceranti.

“Dai parole al dolore; il dolore che non parla, sussurra al cuore oppresso e gli ordina di spezzarsi”, affermava William Shakespeare, nel Macbeth. Ma la necessità di esprimersi non riguarda soltanto il dolore. Le parole sono essenziali e creative e ci permettono di viaggiare oltre i nostri confini e dopo il “contatto”, rendono possibile la comunicazione e la conoscenza.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir