Elemosina: Riccardo Rossi (Missione speranza e carità), “ci vuole uno scatto verso il povero”

Riccardo Rossi, missionario laico - insieme alla moglie Barbara - della Missione speranza e carità di fratel Biagio Conte a Palermo, declina per il Sir una delle tre pratiche tradizionali della Quaresima: l'elemosina. Creare "ponti di bene", in quest'angolo di periferia palermitana, significa testimoniare la "cultura del dono" partendo dalla capacità di restituire dignità ai fratelli più poveri ed emarginati. Per farli ripartire

Elemosina: Riccardo Rossi (Missione speranza e carità), “ci vuole uno scatto verso il povero”

L’elemosina è misericordia, dice Papa Francesco, è generosità a tutto campo: come ti ha cambiato la vita la “cultura del dare”? “Mi ha fatto rinascere: in un momento di depressione, ho scoperto nei disabili tanta gioia di viere. Scrivendo articoli su buone notizie, sono rinato. Sono rinato scrivendo cose belle”. Riccardo Rossi, comunicatore sociale, da un anno missionario laico consacrato, insieme a sua moglie Barbara, nella Missione di speranza e caritàfondata da fratel Biagio Conte a Palermo, declina così una delle tre pratiche tradizionali della Quaresima. Riccardo racconta al Sir la sua parabola di vita, da giornalista politico a missionario laico e “comunicatore di buone notizie”, dal buco nero della depressione alla gioia solare di spendersi per gli altri, soprattutto per i fratelli più poveri, gli ultimi, gli emarginati. Vite come vuoti a perdere. Che in quest’angolo di periferia palermitana – scelta dal Papa come una delle tappe principali del suo viaggio pastorale – hanno trovato e trovano ogni giorno un’occasione di rinascita, a partire dall’opera di tanti volontari e volontarie che li aiutano a recuperare la dignità perduta. Mentre scriviamo, alla Missione speranza e carità fioccano “ponti di bene”, come recita il titolo della missione a cui sono chiamati Riccardo e Barbara – la prima coppia missionaria della comunità – non solo nel capoluogo palermitano ma in giro per l’Italia e ora anche per l’Europa. Corsi per caseificatori, lezioni di taglio e cucito, una squadra di calcio di ragazzi migranti allenati da un “bianco”, solo per citare le iniziative più recenti. Qui la creatività è la parola d’ordine, e il metodo è la sinergia tra “dentro” e “fuori”: tra i talenti della Missione e la rete di sostegno del tessuto cittadino. Come si fa a non cadere nella tentazione di “etichettare” gli altri, tenendoli a distanza di sicurezza? “Quando in Missione accogliamo un’altra persona, l’accogliamo e basta”, dice Riccardo: “A noi interessa ciò che è oggi e ciò che sarà domani, non quello che ha fatto prima”.

L’elemosina si riduce spesso ad un gesto distratto per scaricare la coscienza. Il Papa non la pensa così, e parla di elemosina materiale ed elemosina spirituale, intesa come capacità di “perdere tempo con un altro che ha bisogno”. Quale è la vostra esperienza nella Missione?
Il gesto del donarsi, anche quando è occasionale, è sempre importante, ma la carità è qualcosa per cui ti doni in maniera completa, continuativa: è elevare la persona nella sua dignità, insegnandole un lavoro, valorizzandone i talenti… Non è soltanto aiutare qualcuno nel momento del bisogno, non è assistenzialismo: è consentire alla persona che si trova in difficoltà una trasformazione, accompagnandola e piano piano anche distanziandosi da lei per permetterle di camminare da sola. Il simbolo della Missione di speranza e carità è un tronco tagliato, che rappresenta la persona in difficoltà. Il compito della Missione è far crescere questo germoglio, far ripartire la persona, con un lavoro, con un sorriso, con un abbraccio. L’accoglienza è un impegno a tutto tondo, è la capacità di farsi carico di tutti i bisogni dell’altro, umani e spirituali, dandosi da fare – con azioni concrete e non a parole – per inventare una nuova società.

L’accoglienza ha quindi una valenza sociale e politica?
La Missione è importante per l’accoglienza, ma non basta: deve poter contare su una società che, a sua volta, deve diventare accogliente. Quando si riforma un’etica sociale comune, tutti ripartono. Se la Missione diventa un’isola felice in una comunità non accogliente, non va bene: è una grande ricchezza, ma ha bisogno di essere sostenuta. Tutti sono poveri: i separati, gli esodati, chi si trova in carcere, chi è depresso, chi non ha lavoro… La gente ha paura, è disorientata, e agisce di pancia, sollecitata da una politica che fa leva proprio sulle sue paure. Tra l’interno e l’esterno, invece, deve esserci uno scambio: io e mia moglie, ad esempio, cerchiamo di prendere il bello di fuori e portarlo dentro, e il bello di dentro portarlo fuori.

Se non c’è uno scatto verso il povero, i poveri rimarranno sempre ai margini della società. La legge sulla sicurezza, ad esempio, sta provocando danni terrificanti. C’è una grande paura tra le persone migranti: sono sconfortate. Stanno chiudendo i centri di accoglienza, ma non si dice dove stanno collocando i loro ospiti. In realtà, finiscono per strada.

L’ipocrisia per Francesco è un altro dei mali del nostro tempo, con il pericolo di una doppia vita e una doppia morale, per di più amplificato dai media…
I media sono devastanti. Tra il 1999 e il 2000, mi sono convertito perché facevo del male alla gente: ero un giornalista politico, e ogni giorno prendevo in giro la gente, mandando comunicati dai contenuti fittizi, era il politico di turno che mi diceva cosa fare. Nel migliore dei casi, la mia unica colpa era attaccare l’avversario. È il clima politico di oggi, dove non si fa che urlare a scapito di chi non la pensa come noi.

Il 60% degli atti conclamati di razzismo o intolleranza colpiscono i migranti, i poveri e i gay. Nella Bibbia, invece, non c’è scritto il numero di persone da accogliere: ognuno di noi può fare qualcosa per il fratello, non solo i presbiteri o i religiosi ma anche i laici, le coppie di sposi.

Bisogna agire in concreto, andare verso l’altro e non escludere o marginalizzare. Vivere per strada non è mai una scelta sana: è una giungla, ogni giorno è una lotta, e le forme di abbrutimento conoscono così tante dinamiche che quello fisico finisce per accrescere i propri dolori e per trasformare le persone in disabili mentali. Chi vive per strada è invisibile, senza identità: sei davanti agli occhi di tutti, ma non sei nessuno.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir