Giubileo lavoratori. Don Prodi: “Con iCare trasformiamo la fragilità in opportunità e creiamo una comunità più coesa”
Nella diocesi di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti è stata avviata, dal 2017, una cooperativa sociale di comunità che ha come obiettivi di fondo l’inclusione e l’integrazione di chi ha più difficoltà

Dal 1° al 4 maggio e il 4 e il 5 maggio, da calendario, sono previsti, rispettivamente, il Giubileo dei lavoratori e il Giubileo degli imprenditori. Con la morte di Papa Francesco il Dicastero per l’evangelizzazione, sezione per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo ha reso noto, nei giorni scorsi, che per i pellegrini che raggiungeranno Roma in quei giorni, è previsto solo il rito giubilare del pellegrinaggio e l’attraversamento delle Porte Sante della papale basilica di San Pietro e delle altre basiliche papali, momento privilegiato di Speranza e Fede. Ugualmente raccontiamo in vista del Giubileo dei lavoratori un’iniziativa profetica della diocesi di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti, che coniuga lavoro e inclusione: la cooperativa sociale di comunità iCare. Ne parliamo con il suo presidente, don Matteo Prodi.
Come nasce iCare?
La cooperativa sociale di comunità iCare nasce nel 2017 su impulso di mons. Mimmo Battaglia, allora vescovo di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti (oggi cardinale arcivescovo di Napoli, ndr), per rispondere alle ferite del territorio diocesano. La logica è quella dell’imprenditoria sociale:
trasformare la fragilità in opportunità, risposte per chi vive quelle fragilità ma anche risposte al tema dello spopolamento e della disoccupazione, per creare una comunità (non solo ecclesiale) più coesa.
I problemi più urgenti, infatti, su cui ci si è concentrati sono stati la mancanza di lavoro (in particolare per i giovani), il futuro delle persone diversamente abili non incluse nella società e la violenza di genere.
Qual è la mission di iCare?
La mission di iCare è, appunto, creare una comunità più coesa, non ripiegata a contemplare ciò che non va, ma protesa a dare risposte. La scelta della modalità di governance, cioè dell’essere una cooperativa sociale di comunità, testimonia questa vocazione:
unire le capacità, le competenze e le forze per costruire un popolo in giustizia, pace e fraternità,
come ci ha indicato Papa Francesco nell’“Evangelii Gaudium”, al n. 221.
Quali progetti e quali attività promuovete per l’inserimento nel mondo lavorativo di soggetti fragili?
Le attività principali della cooperativa sono il laboratorio di pasticceria sociale (Dolcemente), vari progetti sulla violenza di genere, attività di diverso tipo legate all’agricoltura sociale, la gestione di due mense scolastiche, la gestione di un museo legato a Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, il Mila, la gestione di molte attività insieme alla Caritas diocesana (Centro d’ascolto, distribuzione di cibo e vestiti, dormitorio), la gestione di un Centro diurno polifunzionale per disabili adulti, progettualità didattico-formative nel carcere minorile di Airola (agricoltura sociale e Scuola di cucina).
Quali categorie di soggetti fragili sono impegnate con voi?
Le donne che abitano nella nostra casa-rifugio sono spesso coinvolte in piccoli progetti lavorativi sia all’interno sia all’esterno della cooperativa.
Il più grande sforzo è, sicuramente, quello di coinvolgere nelle nostre attività persone giovani e adulte diversamente abili: circa trenta ragazzi collaborano al laboratorio di pasticceria sociale, dove offrono il loro contributo (sia nel laboratorio sia nei catering esterni) e sono invitati ad allargare le loro capacità e competenze; ad esempio, abbiamo fatto un corso di pizzeria e un corso di sala. Alcuni di loro collaborano anche nelle attività delle mense scolastiche.
Al 31 dicembre 2024 i dipendenti erano 34, di cui solo una persona è inclusa tra le categorie protette. Ci sono due persone che hanno borse lavoro e altre, con forme di collaborazione meno strutturate, provengono da percorsi di reinserimento nella società e nel mondo dei lavoratori (persone con dipendenze o ex detenuti o soggetti a pene alternative).
Oltre ad aiutare per l’inserimento lavorativo le vostre attività aiutano anche a favorire l’inclusione e l’integrazione?
L’inclusione e l’integrazione sono i nostri obiettivi di fondo. Chi porta le ferite della vita deve ricevere maggiori cure.
Ma è vero, anche, che la comunità deve imparare che la sua bellezza deve essere misurata a partire dalla cura dei più fragili. Emarginare, ghettizzare significa sempre perdere parti preziose e si finisce per pagare anche costi più alti. La cooperativa desidera sempre più allargare le sue attenzioni: ci piacerebbe, ad esempio, dare maggiori risposte al mondo degli anziani e degli stranieri. Magari creando legami tra queste persone: stranieri che curano anziani. Inoltre, tutta l’attenzione a insegnare mestieri (tra pochi giorni partirà e sarà operativo un progetto di sartoria sociale) aiuta ad affrontare anche il grave problema dello spopolamento. Alcuni mestieri non li fa più nessuno e sono funzionali ad altre attività economiche: si pensi alla cura delle vigne e degli uliveti, necessaria all’economia locale, per i quali non si trovano lavoratori adeguati e disposti.
I soggetti fragili che prendono parte a iCare sono protagonisti anche di attività a favore di altri soggetti fragili?
Ogni protagonista di iCare (soci, volontari, dipendenti, membri del Cda, ragazzi dei laboratori ecc.) sente di poter costruire una famiglia, in cui ognuno porta il suo contributo.
Questa è la cura reciproca che proviamo ad implementare.
Che riscontro avete anche a livello sociale del vostro impegno?
Molti sono i riscontri. Innanzitutto, la stabilità dei giovani dipendenti. Ormai quasi nessuno ha un contratto a tempo determinato. E, quindi, hanno più possibilità di sposarsi ed avere dei figli. Poi la felicità dei nostri ragazzi e delle loro famiglie è la cosa più bella. Ci fa anche piacere vedere come il pubblico ci cerca e valorizza il nostro impegno. Infine, siamo continuamente chiamati a partecipare ad eventi in cui si desidera ascoltare la nostra esperienza.
Siete riusciti a inserire nel mercato del lavoro molti soggetti svantaggiati?
Purtroppo no. Alcuni dei nostri ragazzi, se fossero assunti, potrebbero perdere sussidi di varia natura. Se, a volte, questo ostacolo è reale, altre volte diventa purtroppo una barriera culturale e sociale insormontabile. Un limite che, sul tema dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, può essere superato solo acquisendo tutti una più profonda e approfondita informazione.
Vorrei, però, sperare che in futuro riusciremo. Un ragazzo che opera in un paio dei laboratori, per esempio, sta svolgendo il Servizio civile e, probabilmente, una volta terminato, riusciremo a costruire con lui le possibilità per un’assunzione.